Debora Barnaba vive e lavora a Milano dove ha inizialmente studiato disegno e pittura per poi avvicinarsi alla fotografia, che è diventata la sua principale forma di espressione artistica. Nel corso della sua carriera ha collaborato con rinomati professionisti tra cui Giovanni Gastel e Oliviero Toscani. Ha partecipato a mostre collettive e personali e vinto numerosi premi.
Debora Barnaba, Untitled
Lavorando sull’autoritratto, l’artista esplora il tema del corpo in tutte le sue molteplici sfaccettature. Corpo ora controllato, ora sovvertito a favore dell’obiettivo della macchina fotografica. Corpo nudo, corpo scansionato, corpo dilatato. Un espediente linguistico che le permette di materializzare la sua esperienza esistenziale, indagando la questione del tempo e dello spazio e le connessioni con il mondo circostante. Una materialità visiva e mobile che stana i sentimenti più profondi, in una narrazione che mai distoglie lo sguardo dal corpo femminile, dalla sua presenza e dinamicità.
Debora Barnaba, Like a piece of paper
Lo scatto accompagna lo sforzo di sondare il rapporto io/tu – in altri termini: contenuto/contenitore – prendendo in esame l’ampio capitolo della maternità. Descrivendo la serie “Like a piece of paper” (2019/20), Barnaba racconta: “All’inizio della mia gravidanza mi sentivo molto fragile. Guardavo a me stessa come a un pezzo di carta: fragile, delicato, facile a rompersi. Le preoccupazioni, la stanchezza, gli ormoni, i cambiamenti, le emozioni mi schiacciavano, mi piegavano. Ma, esattamente come un pezzo di carta, più mi sentivo piegata e più mi sentivo forte. Questo progetto è composto di immagini stampate che si piegano su sé stesse e di altre che invece si aprono. Così ero e così mi sentivo. E ci sono anche parti del mio diario scritte su un foglio di carta teso da alcuni pesi. Questi fogli non si rompono, resistono e sostengono i pesi. Auspico si possa parlare di più della gravidanza, di questo momento magico ed eroico che ci fa crescere come donne e come persone. Con più realismo e meno pregiudizi.”
Debora Barnaba, Like a piece of paper
Ma lo scatto cerca anche di intercettare, e di propagare, certe forze che si sviluppano dentro l’invisibile, dentro l’insondabile mondo interiore che prova a comprendere e superare la finitudine umana. La serie “Over the bridge” (2018) è il tentativo di conferire all’anima una via d’uscita corporea che permetta di arrivare a quest’anima dalla direzione opposta. Da oltre il ponte.
“Uso il linguaggio del corpo per parlare di qualcos’altro: ho bisogno di esplorare il mondo dell’infinito, di Dio in un certo modo. Penso che il silenzio, l’immutabilità e l’immanenza siano l’armonia dell’universo. Ed è quello che cerco di trovare anche qui, per incarnarlo nel corpo. Così il corpo diventa come una scultura, monumentale e non di carne. Un ponte tra noi e l’universo.”
Debora Barnaba, Over the bridge
Lo scatto, infine, assicura un’egemonia sul tempo e sullo spazio collocando il corpo/sfinge – questa “figura eretta e immobile, posta di fronte a uno spettatore altrettanto immobile, che la guarda rispettosamente mettersi davanti a lui come davanti all’immagine di un Dio” – in una zona metafisica che non prevede il tempo e nemmeno lo spazio. Nell’interregno tra neheh, il tempo del ciclo vitale e djet, il tempo della morte, appartenente al reame imperituro di Osiride.
Debora Barnaba, Sphinx
La serie Sphinx (2017) aggiunge alla miscellanea raccolta di formule del Libro dei Morti una formula anche visiva, un’immagine, per agevolare il passaggio dalla vita e l’insediamento dell’entità spirituale del defunto nel nuovo stato. Gli antichi egizi facevano infatti riferimento a Ka per indicare la parte del sé che sarebbe rimasta per sempre, immune al cambiamento. Una parte dell’anima, separata dalla persona (sede della memoria e dei sentimenti), la cui effige era posta accanto alla mummia.
Forse anche la fotografia è modellata continuamente da questo Ka, da questo “spettro” che deve essere alimentato con cibo e bevande, con ricerca e passione per il proprio lavoro, con l’obiettivo della macchina sempre proteso in avanti e oltre. Ma a sua volta lo modella, imponendo all’immagine l’immagine della sua sensibilità.
Debora Barnaba, Sphinx
Cover story: Debora Barnaba, Over the bridge
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