voler leggere la schiuma, Armando Andrade Tudela e Daniel Steegmann Mangrané


Si intitola voler leggere la schiuma la bipersonale che la galleria Francesca Minini dedica ad Armando Andrade Tudela e Daniel Steegmann Mangrané. Una riflessione sulla forma, sulla mancata riverenza per la forma, che è una chiara presa di distanza rispetto a manifestazioni di arte chiusa. Una sorta di apologia della fluidità in cui gli artisti mettono a confronto, in tensione sarebbe meglio dire, i temi della nostra contemporaneità – incertezza, imprevedibilità, instabilità – con il carattere durevole della materia.

Francesca Interlenghi: Vorrei partire dal titolo della mostra, poetico e inusuale allo stesso tempo. “Voler leggere la schiuma” ha un che di non convenzionale, fa riferimento a qualcosa che si vuole leggere ma leggibile non è. Potete raccontarmi la genesi di questo progetto?

Daniel Steegmann Mangrané: Quando abbiamo iniziato a discutere della mostra e pensare a cosa volevamo fare, abbiamo iniziato provando a trovare un punto di connessione tra noi e i nostri lavori. Subito è emerso il desiderio di leggere come elemento di comunanza tra le nostre pratiche. Ricordo che quando ho guardato per la prima volta l’opera “Thin net’s skin” di Armando (scultura che rappresenta la forma organica che avvolge il gheriglio della noce e che l’artista definisce membrana ndr) mi è parso subito evidente che facesse riferimento a qualcosa di non immediatamente decifrabile. In questa direzione ho lavorato anche io, utilizzando forme in qualche modo indefinite, che contengono un certo livello di passività nella misura in cui invitano lo spettatore a leggerle, intendo dire a cercare di capire di che cosa si tratti. Ma allo stesso tempo contemplarle significa stazionare in un luogo permeato dall’insicurezza. Uso questo termine, forse improprio, per dire che non si ha sicurezza di ciò che si sta osservando.

Armando Andrade Tudela: Quando è arrivato il momento di definire ciò che volevamo rappresentare, abbiamo pensato di rivisitare l’opera del poeta peruviano Cesar Vallejo, che in uno dei suo scritti recita “voglio scrivere e mi viene fuori schiuma”. Un’immagine forte che ci presenta l’autore in una situazione animalesca, di rabbia incontrollabile. Ha a che fare con le emozioni, con la dimensione emotiva del voler scrivere e del voler esistere. Da quella sua frase è nato il titolo enigmatico di questa mostra. L’immagine della schiuma fa anche riferimento al movimento artistico del Surrealismo, a una fotografia molto nota di Duchamp. La schiuma, pur essendo un materiale effimero e inconsistente, può assumere molte forme diverse. E’ legata al concetto di continua trasformazione.

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Francesca: Mi aggancio alla questione della trasformazione, dell’impermanenza e della fluidità perché sono tutti temi che attraversano la mostra e che immagino abbiano resto difficile negoziare il rapporto tra le opere d’arte e lo spazio dello galleria. Come è avvenuto questo vicendevole scambio? Quale il punto di partenza?

Armando: Per quanto mi riguarda, due sono stati i momenti sostanziali. Il primo, capire quello che volevamo mostrare. Il secondo, capire l’ordine che volevamo dare alle cose. L’elemento delle tende Kriska in alluminio di Daniel ci è sembrato un ottimo punto di partenza e così abbiamo iniziato a sviluppare la riflessione ruotando intorno a quell’oggetto come se fosse la forza di gravità a muoverci, ad attrarci. All’improvviso, tutto ha trovato il suo posto, la sua collocazione naturale. Qualcosa di molto simile a quello che avviene con l’Agopuntura: una volta individuati i tre punti del sistema nervoso, tutto ruota intorno a essi.

Daniel: Proprio così. Appena individuato l’elemento delle tende abbiamo avuto molto chiara la modalità di distribuzione delle opere nello spazio e quindi il lavoro che abbiamo fatto durante l’installazione è stato più che altro capire come lo spettatore avrebbe potuto agire e reagire con il percorso espositivo. Attraversare gli spazi della galleria, passare attraverso le tende, significa relazionarsi con le opere e questo crea una certa dinamicità. Queste specie di membrane, (Thin nut’s skin di Tudela ndr) e il puzzle di pietra metamorfica (Metamorphic map di Steegmann ndr), chiedono di essere osservati da molto vicino per coglierne i dettagli e così facendo si perde in qualche modo la nozione di spazio. Tutta la mostra si sviluppa in questo movimento duplice di espansione e contrazione.

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Francesca: Qualche mese fa ero in dialogo con Jessica Stockholder proprio su questo temi – sulla relazione tra spazio, opera e spettatore – e trovo qui molte assonanze con la sua pratica. Avete creato una sorta di scena performativa che cambia con il cambiare del punto di osservazione e con il tempo della sua fruizione.

Armando: La mostra in sé ha a che fare con lo spostamento, in particolare la prima stanza: lì ci si può muovere in modi diversi, scoprendo elementi diversi a seconda della prospettiva dalla quale si guardano le opere. Le stesse tende rivelano colori diversi a seconda dell’angolazione dalla quale le si osserva. Percorrere la mostra significa in qualche modo rinnovare la propria memoria, attualizzandola, e questa esperienza si lega molto al titolo del progetto espositivo. Ma avviene anche il processo inverso, accade che sia lo spazio a determinare le opere: un dialogo fitto nella prima stanza e poi, nella seconda, un dialogo intimo tra due personaggi.

Daniel: E’ come incontrare qualcuno. Perché lo spettatore incontra queste due opere, dritte davanti a lui, quesi fossero due personaggi (Strange arrangement of a skilled worker #1 e #2 di Tudela e geometric nature/biology di Steegmann, ndr) e può interagire con il ramo o con la colonna e può prendersi il tempo per guardarle e riguardarle. Intendo dire che le impressioni che suscitano sono diverse, la via dell’andata non è uguale alla via del ritorno in questa mostra ed entrambe sono importanti in egual misura perché suggeriscono sensazioni diverse.

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Francesca: Nel suo ultimo libro intitolato “Inclusioni. Estetica del capitalocene” Nicolas Bourriaud, in riferimento all’estetica attuale, parla di tentativi di connettere sfere diverse, creando cerchi che collegano tra loro differenti livelli di realtà. Ne parlo perché coesistono in questo vostro progetto l’umano, l’industriale, la natura, la pelle, la schiuma, le parole poetiche. Dimensioni diverse che si compenetrano in qualche modo, generando un tutt’uno armonico.

Armando: Penso che questo concetto di connessione possa essere applicato a qualsiasi forma d’arte. La complessità del mondo in cui oggi viviamo ci spinge ad affrontare diversi temi contemporaneamente e la forma che produciamo è in grado di chiarire quali temi sono più significativi di altri in questo momento particolare per noi artisti. In ogni caso, una cosa per me importante, è che quando abbiamo deciso di realizzare questo progetto insieme, abbiamo deciso da subito di instaurare tra noi un dialogo di mutua reciprocità che alla fine tocca alcuni argomenti e apre a nuovi. In un altro contesto il mio lavoro risulterebbe molto diverso, invece qui diventa qualcos’altro.

Daniel: Il mio lavoro di scultore è molto indefinito, nel senso che la mia pratica non ripete le stesse forme all’infinito, è plurale e ha registri diversi. Ciò che è interessante per me è avere l’opportunità di testare alcune nuove letture dell’opera: l’ultima stanza, ad esempio, è un ottimo esempio di scoperta che io stesso ho fatto con il mio lavoro. Ora so che una colonna posta accanto a un elemento più fragile produce un risultato interessante. E forse, la prossima volta potrò ripetere qualcosa di simile. E forse, la consapevolezza di questa relazione mi condurrà da qualche altra parte in futuro. Se immagino che la realtà sia l’accordo sul reale in un dato momento, penso che in questo momento fondamentalmente non abbiamo un accordo su ciò che è reale, è un momento pieno di contraddizioni. Per me questo è un punto molto importante, perché una mostra è un luogo in cui è possibile rinegoziare la propria nozione di realtà. Non è ciò che accade all’interno della galleria ad essere determinante, ma ciò che accade quando si esce dalla galleria e quando si affronta di nuovo la realtà.

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Credits: voler leggere la schiuma, Armando Andrade Tudela and Daniel Steegmann Mangrané, September-November 2021, Installation views at Francesca Minini, Courtesy the artists and Francesca Minini, Photos Andrea Rossetti

 

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