Si intitola Hidden Images la prima personale a Milano del giovane artista Marco Abrate, allestita presso gli spazi della galleria HUB/ART e curata da Greta Zuccali. Una riflessione sui temi della visione e del tempo, e la loro messa in questione, attraverso una serie di opere che trovano nell’elemento del muro, nel mescolamento di cemento, intonaco, vernice, acrilico, carta o muschio, il fondamento della loro esistenza. E nella costante dialettica di visibile e invisibile, di stabile ed effimero, di sublimazione e desublimazione con la quale Abrate tenta di disobbedire alle leggi di Kronos e Teia.
Marco Abrate, La vita possibile, 2016, courtesy the artist and HUB/ART
Già noto con il nome di Rebor al pubblico e alla stampa – che lo ha ribattezzato Mr. Pink, in virtù della sua predilezione cromatica – per i suoi interventi urbani e le sue performance che sfruttano le potenzialità dei social media, senza tralasciare la realtà fisica, con le quali indaga in maniera critica la situazione socio-politica attuale, l’artista espone in questa occasione il lavoro dei muri, come lo definisce lui stesso. Tentativo di cristallizzare nella densità della materia, tra le crepe dell’esistenza, quel frammento di tempo che si oppone allo scorrere lineare del tempo. E di far emergere, sfruttando il fenomeno subcosciente della pareidolia, la porzione di invisibile che si annida tra pieghe del visibile.
Marco Abrate, Mitezza, 2020, courtesy the artist and HUB/ART
Scrive Giorgio Bonomi nel testo critico che accompagna la mostra: «In un tempo, come quello nostro, in cui il Graffitismo, o Writing, è diventato Street Art, perdendo alcune caratteristiche contestative ma anche dilettantesche, alcuni street artists affiancano al loro lavoro di “strada” quello apparentemente più “tradizionale”, cioè realizzano “quadri” e “sculture”. Non si tratta, certo, di ripensamenti o di pentimenti, tanto meno di tradimenti, né di un “ritorno all’ordine”, bensì di una naturale e necessaria evoluzione. Marco Abrate vive entrambe le situazioni […]. L’elemento base del lavoro di Abrate è proprio il materiale che costituisce la sostanza e l’apparenza esterne di un muro: l’intonaco. Questo è anche l’elemento unificante le due attività e impedisce che ci sia soluzione di continuità tra il lavoro all’esterno e quello all’interno dello studio.»
Marco Abrate, Il Coniglio della paura, 2021, courtesy the artist and HUB/ART
Con la stessa apparente disinvoltura, Abrate lavora nel contesto urbano, nel web e nei luoghi istituzionali dell’arte. I suoi interventi, pur essendo diversi tra loro, condividono caratteristiche comuni: la natura provocatoria della riflessione personale sulla contemporaneità, il concetto di sparizione dell’arte che dissolta nella realtà quotidiana si ripalesa nella dimensione virtuale e la manipolazione dei materiali – vera e propria stratificazione di elementi – alla quale corrisponde altrettanta stratificazione semantica.
Marco Abrate, Memoria lontana, 2019 e Mitezza, 2020, courtesy the artist and HUB/ART
Polisemico, dinamico, aperto all’interpretazione, il lavoro dell’artista è capace di insinuarsi in maniera efficace all’interno delle maglie dei percorsi convenzionali. Egli interviene in galleria, per dare forma a questo progetto espositivo, con orditi pittorici e trame ornamentali sui segni lasciati dal tempo e dal caso su vecchi muri deteriorati, dimostrando la sua abilità ad agire in un libero territorio eclettico e restituendoci la visualizzazione di un presente in cui si condensano i frammenti del mondo moderno e della sua complessità.
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Cover story: Marco Abrate, Il Coniglio della paura, 2021, detail, courtesy the artist and HUB/ART
Marco Abrate | Hidden Images
HUB/ART Milano, Via Privata Passo Pordoi 7/3
A cura di Greta Zuccali con testo critico di Giorgio Bonomi
fino al 10 gennaio 2022
L’esposizione è realizzata grazie al supporto di GAG London Equity Capital e Interface Power, società del network GAG London, che si occupa dell’allestimento e del design dello spazio espositivo.