End of a Good Woman è la collezione di debutto della giovane designer Aida Askarli. Nata e cresciuta a Teheran, ma formatasi a Milano, Aida ha presentato per la prima volta al pubblico il suo lavoro lo scorso febbraio, in occasione della fashion week milanese, con il supporto di TFP TALENTS, la piattaforma per fashion designer emergenti fondata da Elisa Gibaldi.
Francesca Interlenghi: La prima cosa che vorrei chiederti è come ti sei avvicinata alla moda. Da Teheran ti sei trasferita in Italia per studiare, con quale obiettivo? Inseguendo quale sogno?
Aida Askarli: Non posso davvero dire che la mia passione per la moda sia iniziata durante la mia infanzia. A quell’età non sapevo cosa fosse la moda, ma da giovanissima ho iniziato a disegnare e a prendere lezioni di pittura. Era forse più evidente il mio interesse per l’arte. Più tardi, mi sono resa conto che le scelte di abbigliamento delle persone potevano dirci molto della loro personalità e forse quello è stato uno dei primi motivi per cui mi sono interessata al design dell’abbigliamento e alla moda. Perché è un modo per esprimere pensieri e sentimenti. Da adolescente ho iniziato a creare, con l’aiuto di mia madre, vestiti che pur non essendo convenzionali hanno riscosso dei buoni feedback. Qualche anno dopo, ho deciso di coltivare seriamente il mio interesse per la moda. Tuttavia, poiché in Iran non c’era la possibilità di approcciare la moda in maniera accademica, ho deciso di trasferirmi all’estero per studiare fashion design. Il primo Paese che mi è venuto in mente è stato ovviamente l’Italia.
Francesca: La tua collezione d’esordio End of a Good Woman ha molto a che fare con le tue origini, mescola insieme tradizione e innovazione. Mi puoi parlare del concept intorno al quale si articola il progetto e di come lo hai tradotto in prodotto?
Aida: Ero a Teheran da un paio di mesi quando ho deciso di progettare la mia nuova collezione. Stavo ragionando sul concept quando abbiamo abbiamo saputo della morte di Mahsa Amini. Era impossibile non pensare a quell’orribile fatto e a tante altre storie inimmaginabili accadute in quegli stessi giorni in Iran. Avevo in testa alcune parole chiave: donne, tradizione, battaglie e diritti. Ma non volevo far confluire nel mio progetto solo le storie del mio Paese, quindi ho iniziato a fare più ricerche in altri contesti in cui le donne hanno protestato, in diversi periodi e luoghi del mondo. Ho scoperto le lotte per il diritto all’aborto, quelle per il diritto al voto e il diritto all’abbigliamento, e ciò che le accomunava era l’idea di combattere una stessa battaglia contro le tradizioni o le vecchie credenze.
Francesca: I materiali che utilizzi per la costruzione dei tuoi capi, la commistione di elementi apparentemente inconciliabili come maglia e pelle, ha molto a che fare con l’idea di un dialogo transgenerazionale.
Aida: Utilizzo elementi e materiali paradossali che, per me (o per molti altri) hanno un significato diretto o chiaro. Ricordo mia madre o mia nonna che lavoravano a maglia e pensavo che quello potesse facilmente essere un simbolo di tradizione, un modo per ricordare le generazioni precedenti. Ma, d’altra parte, l’utilizzo di accessori in pelle e harness potrebbe simboleggiare la ribellione delle nuove generazioni. A Teheran ho incontrato una giovane donna che lavorava con la pelle e creava harness. Ho trovato affascinante fare una cosa così ribelle nel contesto della società iraniana. Ovviamente, è una visione moderna che vuole scardinare le credenze tradizionali e i retaggi culturali.
Francesca: La collezione risulta essere un manifesto femminista e femminile, a supporto delle donne di tutto il mondo che vedono negato il loro diritto alla libertà. Le scritte che hai riprodotto in certi capi hanno una storia e un significato ben precisi. Me lo puoi raccontare?
Aida: Come ho detto prima, non volevo che il messaggio della collezione fosse legato o limitato a una singola società e per questo in fase di ricerca mi sono informata sui numerosi movimenti femminili. Ho guardato tante foto di dimostrazioni e approfondito le richieste di queste donne. Infine, ho selezionato circa 120 slogan usati in diverse proteste e li ho trascritti in una delle mie creazioni.
Francesca: Abiti manifesto ma anche sostenibilità, tempi lenti e la cura del fatto a mano. Come ti immagini la moda del futuro? Con questi e quali altri valori?
Aida: Viviamo in un mondo in cui la moda è una delle cause principali dell’inquinamento ambientale. Quindi, ad essere onesta, non posso progettare per un mondo che non esisterà più in futuro. Ecco perché la sostenibilità è importante. Mi piace anche apprezzare ogni pezzo dei nostri vestiti per il loro valore teorico. Sebbene le aziende del mercato di massa e l’industria del fast fashion siano i leader del mercato, stiamo osservando buoni progressi nella moda digitale e nelle iniziative decentralizzate a sostegno della sostenibilità. Non è facile dire come sarà il futuro o come le persone seguiranno la moda, ma spero che arriveremo al punto in cui tutti compreremo di meno ma compreremo vestiti con più valore.