Lo definisce un compositore dell’anima, perché risuona quasi la vita nei suoi testi. Al pari di un compositore, Čechov esprime tutta la sua grandezza scrivendo la sinfonia dell’uomo, una melodia in cui tutti i movimenti dell’animo affiorano attraverso battute che è come se fossero note. Una partitura che lavora più in sottrazione che in addizione, dove è più eloquente il vuoto che il pieno, più potente l’evocazione che la celebrazione. Il Gabbiano messo in scena da Antonio Syxty pone l’accento sulla nota principale intonata dalle corde vocali di Maša, tracciando così il filo conduttore emotivo di tutta la vicenda. L’abbandono e la solitudine, la condizione estrema, sempre e comunque, di un amore, quello per Kostja, che non si risolverà mai. In un continuo reiterarsi della condizione di abbandono, dove chiunque abbandona chiunque pur volendogli bene e pur dicendo di amarlo. Domina incontrastata, su tutto, l’incapacità a trattenere.
“Tutti i personaggi di Čechov suonano un po’ la stessa nota. Personaggi diversi, età diverse, condizioni diverse, ma più o meno sempre la stessa nota: la vita che non si riesce ad afferrare, il suo trascorrere senza riuscire a raggiungere i propri obiettivi, soddisfare le proprie aspirazioni, riducendosi a fare delle cose che poi non portano ad alcun appagamento.”
Amore irrisolto ma anche mistero insondabile che lega amore e creazione artistica. Il testo di Čechov impone una significativa riflessione sull’arte in senso lato. I suoi protagonisti, artisti di teatro e letterati, si struggono nell’esplorare metodo creativo e forme nuove.
“Il grande dibattito è tra la forma e il contenuto, quanto la forma sia veicolo di un contenuto e quanto in realtà il contenuto sia altro rispetto alla forma. Il teatro pone questo problema perché il teatro è sorretto dalla passione, dall’emozione e dalla vita, ma può rovinare la vita così come la vita può rovinare il teatro. Alla fine la forma dell’arte e nell’arte diventa un grande inganno. E il teatro è proprio l’emblema di questa considerazione, perché il teatro è una forma di vita ricostruita che diventa forma essa stessa, mentre la vita vera sta da un’altra parte.”
Ed è proprio nel cercare forme nuove di vita e di arte che si consuma tutto il conflitto generazionale.
“Le figure degli adulti non sanno che consigli dare, non sanno bene cosa dire, diventano tante volte impietosi nei confronti dei giovani. E i giovani, dal canto loro, restano stretti in una morsa di sentimenti contrastanti che spinge alcuni a volerli imitare gli adulti, altri a volerli superare creando qualcosa di nuovo e di diverso.”
La scenografia, affidata alle mani di Guido Buganza, aspira a essere un teatro nel teatro, suggerisce il palco creato da Kostja ma ne è solo un accenno, è solo un’ indicazione di quello che lo stesso Kostja definisce uno spazio vuoto. Poi una sorta di velario che durante la rappresentazione fa funzione di schermo e proietta le immagini degli attori capovolti, colti come camminassero a testa in giù con i piedi attaccati al cielo. Sovvertimento dell’equilibrio: chi è dritto? chi storto? chi sta cadendo? Di fondo la musica di Max Richter, melodrammatica e epica. Un minimalismo musicale capace di gonfiarsi di grandi accenti, in grado di restituire la sensazione di rottura traumatica dello spirito. Utilizzata con finalità drammaturgica piuttosto che didascalica, quindi non necessariamente sintonica con il fluire della recitazione.
Non ci sono le garanzie di ricostruzione di un testo teatrale come il Gabbiano, ma c’è l’ idea di mettere in scena il Gabbiano e questa è la messa in scena di Kostja e della sua vita e dei personaggi che lo circondano. In fondo è lui il regista di tutto.
La ricerca della contemporaneità si risolve, nell’adattamento di Syxty, con l’aderenza dei personaggi al testo dell’autore senza tentativo alcuno di reinventarli e senza desiderio alcuno di ricreare l’atmosfera di Čechov. Una regia che non ambisce a essere intensamente cechoviana nella tecnica. Capace, forse per questo, di consegnare al tempo presente il segno e la parola di uno dei più grandi indagatori dell’animo umano.
“Nei miei intenti una messa in scena anti-borghese, lacerata, strappata, sottratta all’esistenzialismo. Un Gabbiano corporeo, provocativo anche, non per provocare il pubblico ma per provocare qualcosa nel pubblico. Perché Čechov ha saputo mettere il teatro dentro il teatro costringendoci tutti a una profonda riflessione sul tema dell’arte.”
Photos by Nils Rossi
Desidero ringraziare per la gentile intervista Antonio Syxty qui nella sua veste di regista de “Il Gabbiano” di Anton Čechov, in scena al Teatro Litta di Milano fino al 22 febbraio 2015 – www.teatrolitta.it
di Anton Čechov. Adattamento e regia Antonio Syxty. Con Caterina Bajetta, Letizia Bravi, Gaetano Callegaro, Valentina Capone, Guglielmo Menconi, Livio Remuzzi (Premio Hystrio alla Vocazione 2014), Antonio Rosti. Scenografia Guido Buganza. Costumi Valentina Poggi. Staff tecnico Ahmad Shalabi, Marcello Santeramo. Disegno luci Fulvio Melli. Assistente alla regia Libera Pota. Foto di scena Valentina Bianchi.