Soliloquio marittimo per 2.201 personaggi e 3.177 cucchiaini
La parola fluisce in una scenografia tutta costruita di metallo. Fa un rumore a tratti violento nel narrare la vicenda di un giovane friulano, Giovanni Pastore, che lascia la sua montagna per vedere annegare sogni e speranze nell’affondamento del transatlantico. Di questa parola che scorre come in un limbo tra la vita e la morte si fa interprete un giovane talento del teatro contemporaneo, Matthieu Pastore, diretto dal maestro Renato Sarti che di questa rappresentazione cura regia e scenografia. 26 anni, un diploma alla Scuola del Piccolo Teatro, Premio Hystrio alla Vocazione 2012, Matthieu parla come in bilico tra eternità e attimo, stretto tra ritmo dilatato del per sempre e ritmo serrato dell’ultimo istante vitale. E’ la parola di un morto quella che va in scena. Parola sognata, parola fantasma, parola che gioca con i suoni di un’eco lontana.
“Ho scoperto questo testo di Patrick Kermann nel 2011 mentre lavoravo a Roma al centro culturale francese. Me ne sono subito innamorato perché è una tragedia molto affascinante. E’ la tragedia di un mondo, di una credenza, di una speranza. Un affondamento che rappresenta molte cose. E soprattutto ha due piani di lettura: uno sociale-politico e uno esistenzialista-filosofico. Un testo che sa riflettere sia su una condizione sociale, lo stratificarsi delle classi sociali, sia sul viaggio inteso come metafora della vita, come passaggio dalla vita alla morte e sulla ricerca della felicità.”
Si legge dalle note di regia che Titanic è un singolare memento mori ad uso di fari, capitanerie, stazioni marittime ed altri ventri della balena, che dal profondo degli abissi fa emergere, come bolle d’aria, ricordi, episodi, ossessioni. E’ un memento mori ed è questa l’unica chiave per riflettere sul tema della felicità. Perché non si può parlare di felicità senza parlare di morte e di fine, la fine della vita. E proprio in questa terra di nessuno, in questa sorta di no man’s land in cui il protagonista lava esattamente 3.177 cucchiaini per due volte al giorno ostaggio di un datore di lavoro senza scrupoli, prende forma la prosopopea del Titanic, figura retorica in cui si introducono a parlare morti e fantasmi. Dagli anfratti delle lamiere si erge un suono che rimbalza tra il qui e l’altrove.
“E’ una riflessione sul dualismo tra accettazione di noi e continua ricerca, tensione verso qualcos’altro da noi. La felicità non è una destinazione bensì una direzione, non è l’arrivo ma il viaggio. Questo il tema centrale su cui riflettere. Giovanni Pastore dice di aver letto tutto Nietzsche, ma secondo me non è vero! Ha letto solo – Così parlò Zarathustra – che raccontava proprio di questo, che si può essere felici solo accettando che la vita ha un termine che non ci è dato conoscere. La felicità è una decisione più che una direzione. Credo sia questa la scoperta che fa il protagonista nell’intraprendere questo viaggio. Giovanni Pastore decide di essere felice.”
Una metafora violenta e allo stesso tempo comune della nostra condizione di migranti, nostra di esseri umani intendo. Noi che tutti siamo frutto del viaggio, di un comune andare, parabola che vuole l’uomo esule e straniero.
“Dopo aver visto lo spettacolo di Renato Sarti – La nave fantasma – ho pensato che si, è vero, non si parte per niente, si parte per trovare la felicità. Ma morire cercando la felicità è la cosa più assurda che ci sia, la più derisoria. E’ il dramma più totale e mi tocca nel profondo. Come si fa a sopportare questa morte che sopraggiunge nella ricerca di un mondo perfetto che non si troverà mai?”
Dove si perde la vista del mare inizia l’orizzonte. Ancestrale e immutato. Come l’orizzonte dell’uomo quando, attraverso le parole dell’attore, è parlato da noi, dalla platea che assiste allo spettacolo, da questi morti che vivono dentro di noi. E raccontano che tutto può cambiare. Tranne l’orizzonte, alla fine del mare. Ancestrale e immutato. Sempre.
Foto di Nils Rossi
Desidero ringraziare per la cortese intervista Matthieu Pastore in scena al Teatro Litta con Titanic – The Great Disaster, Soliloquio marittimo per 2.201 personaggi e 3.177 cucchiaini fino al 29 marzo 2015 . www.teatrolitta.it
Di Patrick Kermann. Traduzione Matthieu Pastore. Regia e scenografia Renato Sarti. Musiche Carlo Boccadoro. Disegno luci e allestimento scenico Luca Grimaldi, Marco Mosca.
Foto di scena Wanda Perrone Capano.