Aveva solo un anno e mezzo quando, con un paio di sci di plastica ai piedi, Federica Brignone se ne andava in giro dappertutto, perfino sulla moquette dell’appartamento di Milano in cui abitava. E aveva solo due anni quando, nella stradina dietro la casa dei nonni a Courmayeur, si lanciava a tutta velocità contro il muro di neve in fondo alla pista. Proprio la nonna Adriana l’aveva iscritta alla scuola di sci dove ogni giorno i maestri erano costretti a cambiarla di classe tanto era la velocità con cui migliorava rispetto agli altri. Quasi lo sci fosse impresso nel suo DNA.
“Sciare per me? E’ tutto! Mi dà emozioni indescrivibili, è bellissimo, mi permette di essere in mezzo alla natura e di godermi tutto quello che c’è intorno. Certo, fare lo sport come lo faccio io è diverso, è tutta un’altra cosa, ma la componente del divertimento rimane, immutata, ora come allora. E a me diverte la competizione, è quello che mi piace delle gare e mi è sempre piaciuto, fin da quando ero piccola.”
Figlia della sciatrice Maria Rosaria Quario – anche se per tutti sulle piste e fuori era semplicemente “Ninna”- e del maestro di sci Daniele Brignone, Federica riesce bene nello slalom gigante pur praticando la polivalenza con buoni risultati almeno fino al 2009, quando diventa campionessa mondiale juniores di combinata. Poi, il 24 ottobre 2015, la prima vittoria in Coppa del Mondo nel gigante femminile di Sölden, disputato sul ghiacciaio di Rettenbach. Una combinazione vincente di forza e determinazione, di sogno e rischio come elementi fondanti del suo successo. La sintesi perfetta dello sci.
“Penso che il rischio sia una componente fisiologica di questo sport, se non si va un po’ oltre il limite non si hanno chance di successo. E’ un tentare continuamente di superare il limite, di alzare l’asticella. Da una parte c’è il corpo che frena perché sei sugli sci e vai veloce. Dall’altra parte c’è la mente che sprona ad andare sempre avanti superando le proprie paure.”
Bella, solare, con un sorriso e una integrità che conquistano al primo sguardo, è la rappresentante ideale di uno sport che, fra muri di ghiaccio e di neve ma anche di parecchia ipocrisia latente e ben nascosta, vive ancora l’idea che si possa primeggiare grazie al proprio talento e al duro allenamento, senza bisogno di prendere scorciatoie chimiche.
“Io sono assolutamente contraria al doping, per me è uno schifo anche solo farsi cogliere dalla tentazione. E’ stato quando ho trionfato a Sölden che ho avuto la certezza che si potesse vincere senza doping. Ma se posso scommettere su di me non posso farlo su altri. Quello del doping è innegabilmente un problema perché dietro questa strategia ci sono una scienza e milioni di euro di ricerca e finanziamenti.”
Una ragazza costretta per professione a fare una vita da nomade, sempre in giro per il mondo, sempre con la valigia in mano, “anche se ormai non ci faccio più tanto caso” dice sorridendo, appena di ritorno dall’America.
“E’ diventata una abitudine e adesso io in 5 minuti faccio tutto perché so esattamente cosa devo portare. Tolgo le cose sporche, ci infilo dentro quelle pulite e l’impianto della valigia rimane sempre in garage per non perdere troppo tempo. Semplice no?”
Una ragazza di 25 anni che ha le stesse esigenze di vita di tutti i ragazzi solo che con molta più fatica lei riesce a conciliare la dimensione dell’atleta con la dimensione privata, in mezzo a mille impegni, nel poco tempo residuo tra gli allenamenti e le gare.
“Sono rimasta a casa 2 giorni e ho cercato di vedere tutti gli amici possibili. Non è facile, è sempre un cercare di incastrare tutto, ma ho amici buonissimi, ex sciatori, maestri di sci o comunque persone dell’ambiente che capiscono i miei ritmi e sono sempre felici di vedermi.”
Una ragazza così piena di motivazione da aver anche provato a mettere insieme lo studio e lo sport ma “in Italia è praticamente impossibile” sostiene. “Mi ero iscritta al Corso di Laurea in Scienze Motorie e delle Attività Sportive a Torino quando non ero ancora in Coppa del Mondo. Poi, conseguiti i primi risultati, mi sono resa conto che a fine stagione volevo concentrarmi solo sugli sci e non perdere di vista il mio obiettivo principale. E le due cose sono diventate incompatibili.”
Una ragazza che offre un’ironia sottile e un’autoironia imprevedibile che si svela mentre mi racconta che nei rari momenti in cui non indossa la tuta predilige i vestiti. “Amo i vestiti, un pezzo unico e via, sei pronta. Perché il vestito mi dà libertà di movimento, a differenza dei pantaloni che non mi piacciono. Vedi? Stringono sempre le cosce i pantaloni…” dice aggrappandosi ai bordi come per scrollarsi di dosso una fastidiosa armatura.
Federica è determinata a battere l’avversario più temibile di questo momento, la statunitense Mikaela Shiffrin, e l’altro grande avversario di sempre: il cronometro.
“Non è come nel tennis che giochi contro qualcuno e che dipende anche dall’altro il tuo risultato. Nello sci dipende solo da te, in questo senso il cronometro è un avversario. Il mio primo obiettivo adesso è di fare 500 punti, mi aspetto da questa stagione di continuare a sciare come sto facendo e di continuare a migliorarmi, soprattutto di testa. Nel cuore il sogno grande di diventare una sciatrice completa, competitiva in tutte le discipline. E di vincere una Coppa del Mondo!”
Una combinazione vincente di forza e determinazione, di sogno e rischio come elementi fondanti del suo successo. In più, due meravigliosi occhi azzurri che sanno essere gioielli nel momento della gioia e ghiaccio nel momento della concentrazione e della gara. La sintesi perfetta dello sci.