A Milano la Galleria Raffaella Cortese ha appena inaugurato la mostra dedicata all’artista Monica Bonvicini, per la prima volta in questo spazio con una personale dal titolo Our House che occupa tutte le tre sedi espositive della galleria anche con opere appositamente concepite per l’occasione.
Nata nel 1965 a Venezia e trasferitasi verso la fine degli anni ’80 a Berlino, Monica Bonvicini è un’artista eclettica che attraverso l’impiego di media diversi, dalle installazioni scultoree, per le quali è in special modo conosciuta, fino al disegno, alla fotografia e le installazioni video, indaga i temi inerenti l’architettura, le differenze di genere, lo spazio, il potere e le loro connessioni. In un lavoro permeato di riferimenti storici, politici e sociali che abbraccia dalle questioni più intime fino all’architettura su larga scala alla ricerca delle forze troppo spesso nascoste che condizionano l’identità.
Nell’area principale della galleria sono esposti una serie di disegni in bianco e nero che raccontano le catastrofi naturali causate dall’azione umana che, riducendo la natura a semplice merce, lascia dietro di sé territori feriti e dolenti. Le immagini sono tutte tratte da testate on line che esplicitamente dichiarano che l’accadere di fenomeni quali incendi e uragani è la conseguenza del riscaldamento globale e di altri comportamenti ecologicamente scorretti da parte dell’uomo.
Insieme ai disegni anche i Diener (dal tedesco: servo), sculture domestiche appoggiate al muro evocative dei servimuti sui quali si usa disporre gli indumenti quando ci si spoglia. Redymade rivestiti di materiali diversi (come il legno che rimanda alle residenze milanesi progettate da Zaha Hadid) prodotti appositamente per la mostra a Milano e nelle zone limitrofe a riprendere la tradizione dell’artigianato locale e a sottolineare il ruolo centrale che questa città riveste nel panorama del design.
Poi, d’improvviso, un rumore subitaneo e assordante, una porta che si chiude, anzi letteralmente sbatte e lascia come attoniti difronte a un muro nero. E’ la video installazione Slamshut proiettata alle spalle di una parete eretta appositamente per la mostra che divide la sala principale in due ambienti. I muri dell’architettura e i muri della vita, quelli che si costruiscono per dividere o dividerci, si intrecciano e si mischiano densi di tutti i loro significati, anche dei più attuali. L’artista stessa parla di quest’opera come di una esperienza che costringe il corpo ad assecondare il ritmo di questo suono e gli fa prendere l’abitudine dell’attesa. Ogni 4 minuti lo spiraglio di luce si spegne e il fracasso ci ricorda che il rifiuto è qualcosa che si porta dentro per sempre.
Nello spazio di Via Stradella 4 invece un interessante intervento di minimalismo estetico effettuato attraverso l’uso di materiale da costruzione. Structural Psychodrama # 3 (2017) è una parete espositiva di grandi dimensioni appesa al soffitto e sollevata da un lato con l’ausilio di una catena. Un’opera che segue le due precedenti presentate rispettivamente ad Amburgo e alla Galleria MitchellInnes & Nash di New York e con la quale Monica Bonvicini torna nuovamente a esplorare il tema della sociologia legata all’abitare. Una parete che sembra venire addosso, risucchiare quasi, che impedisce l’utilizzo della reale parete della galleria mettendo in dubbio così il ruolo dello spazio espositivo in quanto luogo di conoscenza. Un linguaggio dell’assenza, ma pieno di stratificazioni e letture, un minimalismo che nel vuoto fa urlare i pensieri e costringe a rivedere il nostro ruolo passivo rispetto all’architettura, a prendere posizione diversa che non sia quella di spettatori inermi dediti solo a subirla.
Infine, nello spazio di Via Stradella n.1 una serie a muro formata da 4 stampe su telaio liberamente ispirate al libro Testo junkie. Sexe, drogue et biopolitique di Paul Preciado. Un collage di pezzettini di corpo maschile e femminile che l’artista ha ritagliato scrupolosamente da tabloid o riviste scandalistiche tedesche in cui qualsiasi riferimento sessuale viene spogliato per dare risalto a una analisi del piacere e dell’uso del corpo come materiale di scambio votato al profitto. Anche se i 4 lavori vivono di vita propria, ognuno riporta una porzione della frase “I like to stand with one leg on each side of the wall” scritta con spray di colore rosa veneziano e ripresa dal testo The German Issue di Heiner Müller. Molto attenta alla semiotica e all’uso del linguaggio, Monica Bonvicini sceglie le parole in maniera accurata, parole imperative che dicono di inclusione ed esclusione, che muovono dalla vicenda del muro di Berlino ma arrivano qui e ora, in un frangente insidioso che sempre più ci impedisce di immaginarci su di un muro con le gambe a penzoloni, una da una parte e una dall’altra. Di qualsiasi muro.
Desidero ringraziare per la gentile collaborazione tutto lo staff della Galleria Raffaella Cortese – sito web – Facebook – Instagram
La mostra di Monica Bonvicini sarà visitabile presso gli spazi della galleria fino al 26 aprile 2017 – Milano Via A. Stradella 7-1-4, martedì – sabato h. 10.00-13.00 | 15.00-19.30 e su appuntamento