Si muove dentro una scenografia fatta di pochissimi elementi, lontano da tutte quelle cose che non sono necessarie. Una scenografia che non ama gli orpelli, “perché se ci sono troppi elementi mi distraggo e dato che sono uno che guarda tutto e si sofferma su tutto se ho tante cose da guardare poi inevitabilmente mi distraggo.” E’ in quello spazio rarefatto eppure nitido che si muove Dino, insieme al buio e al vuoto e a silenzi che fanno un rumore assordante. “E’ stato Roberto Latini a insegnarmi quanto sia importante il silenzio, quanto sia rumoroso il silenzio. Molti testi fanno molto più rumore in quello che non dicono che in quello che dicono.”
Liberamente ispirato a “Il re del plagio” di Jan Fabre, Bernardo Casertano porta in scena il prossimo 7 aprile nell’ambito dell’ottava edizione del Festival “Testimonianze ricerca azioni” organizzato da Teatro Akropolis, il monologo di un angelo che desidera il corpo di un uomo. La storia di uno spirito che abita un luogo incorporeo, senza fondo e pareti, condannato per sua sventura a un persistente destino immortale. Qualcosa di perfetto e durevole che sul palco si trasforma in qualcosa d’altro, di imperfetto, dall’aspetto di un clochard e dai tratti quasi autistici di chi ha evidente difficoltà a servirsi del linguaggio.
“Dino è sicuramente tante cose del mio passato. Rappresenta anche tutto ciò che è fragile e che per me è sempre molto affascinante. Vedi quell’albero laggiù? Ecco, la foglia appesa all’ albero non mi interessa, non nella misura in cui mi interessa la foglia che sta per cadere. E’ il percorso che compie che mi attira, la parabola che mi intriga di più. E’ quella che io guardo. E Dino è un po’ così. Una foglia che sta per staccarsi.”
Attore teatrale, cinematografico e televisivo, Bernardo Casertano si diploma al Teatro dei Cocci sotto la guida di di Isabella Del Bianco e Cristiano Censi.
“Ero un ragazzetto giovane a cui non importava nulla del teatro, uno che della cultura non è che se ne facesse un gran che. Qualcosa si, ma giusto l’indispensabile. Poi sono stato folgorato da Isabella Del Bianco che è stata una vera e propria traghettatrice verso il teatro. Lei che dopo pochi mesi mi ha detto: lascia perdere, il teatro non è cosa per te. Ed era assolutamente vero all’epoca. Però così dicendomi mi ha spronato a impegnarmi e a farlo seriamente.”
Lungo il cammino il Laboratorio permanente di Biomeccanica Teatrale con Andrea De Magistris; l’incontro con il regista e docente Giancarlo Sepe che insegna ad ascoltare la musica, ora divenuta componente fondamentale del suo lavoro; quello con Jean-Paul Denizon, attore e aiuto regista di Peter Brook, che insegna come tutto sia molto più semplice di quanto pensiamo noi, molto più naturale e allo stesso tempo molto più importante; e quello con il regista Eugenio Barba che insegna che anche in un movimento banale ci può essere qualcosa di interessante.
“A un certo punto sono stato attratto dai corpi e mi sono avvicinato alla danza contemporanea e al coreografo e ballerino giapponese Saburo Teshigawara. Sul corpo faccio un lavoro di massima libertà, intendo dire che mi focalizzo solo ed esclusivamente su quello che piace a me. Che raccontato così può magari sembrare semplice ma in realtà non lo è! Perché soprattutto a Roma c’è questa sorta di borghesia teatrale per cui si deve seguire tutti più o meno lo stesso filone, tutti lo stesso giro. E a me questa cosa qui un po’ annoia. E’ tutto quello che non vedo e che non riesco a capire che mi interessa, proprio per deformazione professionale. Tutto quello che non è assolutamente ben disegnato e ben delineato, tutto quello che non è, anche dal punto di vista estetico, canonico ad incuriosirmi.”
Dino è tanti pezzi di umanità costretti da un filo di acciaio dentro un animo immortale. Quando decide di provare a fare il salto, di provare a vedere cosa succede barattando quel filo d’acciaio con una corda, ecco che sceglie un altro Dino, un bimbo con tantissime fragilità e insicurezze, incapace di fare qualsiasi cosa da solo per via di una madre sempre presente, sempre a proteggerlo. E’ quest’ultimo Dino che compie il salto finale, dall’immortale al mortale e lo spettacolo si conclude proprio in quel momento esatto, quando si stacca dalla corda. Senza narrare la parabola della foglia, solo immaginandola. Ognuno per sé. Ognuno con le proprie risposte.
“Vale la pena morire anziché vivere in eterno? Un quesito enorme, anche troppo forse, che gestisco in parte con il linguaggio, una parlata napoletana molto carnale, con una madre che cerca il proprio bambino e quel bambino che si stacca dalla corda e in mutande scappa via a cercare un gelato. Un espediente semplice e diretto per raccontare qualcosa dai contorni di insondabile.”
Desidero ringraziare per la cortese intervista l’attore Bernardo Casertano
Le foto dell’intervista sono di Elisabetta Brian
Le foto di scena sono di Marzia Troiani