FARID AMIN, L’ARTE E LE NUOVE TECNOLOGIE

Si muove nel segno dell’innovazione la storica Accademia Albertina di Belle Arti di Torino assecondando, con la sua offerta formativa, la continua evoluzione della sperimentazione artistica nel web e intensificando la partecipazione a festival e concorsi anche di respiro internazionale. Riconfermando per la quarta volta consecutiva la propria presenza alla Triennale di Istanbul, organizzata dalla Marmara University, con cinque cortometraggi nella sezione video e altre cinque partecipazioni di suoi artisti nelle sezioni di scultura e pittura e con la partecipazione al Premio Corto in Accademia promosso dall’Accademia delle Belle Arti di Macerata che ha visto assegnati ben tre premi a cinque dei suoi partecipanti.

Tra questi si è distinto l’iraniano Farid Amin, studente di Nuove Tecnologie dell’Arte, che ha vinto il Premio Web con un cortometraggio dal titolo Hurt incentrato sul tema della violenza contro le donne. Non solo la violenza fisica ma anche e soprattutto quella che, con il divenire sempre più virtuale delle nostre vite, ha cambiato forma e si manifesta nei giudizi e nei commenti attraverso i social media.

“Protagonista di questo cortometraggio è una giovane donna che si spoglia mentre in sovra impressione scorrono i commenti taglienti e reali pubblicati su Facebook che ho recuperato attraverso alcune mie ricerche. Parole che si impongono con tutta la loro durezza tanto che a ogni parola corrisponde uno schiaffo proprio a significare il legame tra violenza psicologica e violenza fisica.”

Nato in Iran alla fine degli anni ’80, durante gli ultimi episodi del conflitto con l’Iraq, Farid racconta della discrepanza, una specie di scissione, che tutti, lui compreso, erano costretti a vivere. Come se si trattasse di condurre due esistenze completamente differenti: una dentro e una fuori le mura domestiche.

“Il governo islamico era molto conservatore e tutti noi vivevamo questo grande contrasto tra quello che volevamo fare – bere, ballare, organizzare delle feste – e quello che ci imponevano di fare come per esempio studiare il corano. Ora per fortuna le cose stanno lentamente cambiando, possiamo comportarci fuori casa così come ci comportiamo in casa, possiamo organizzare mostre d’arte per esempio e il cinema è un’industria che si sta sviluppando con successo ottenendo riconoscimenti importanti anche fuori dai confini nazionali.”

Fin da giovanissimo attratto dalle nuove tecnologie, “mi rammarico ancora di non essere riuscito ad andare in America per studiare Information Technology ma, non avendo assolto il servizio militare, non potevo avere il passaporto”, si trasferisce a Cypro dove studia Arte e Comunicazioni Visive. Fa ritorno in Iran all’età di 25 anni, inizia a insegnare video art e art editing in diverse scuole private provando contemporaneamente ad assumere un ruolo attivo in ambito artistico.

“La prima idea è stata quella di una galleria d’arte ma non ho ottenuto il permesso perché ero troppo giovane. Esiste infatti questa regola in Iran che se vuoi aprire una galleria e hai meno di 30 anni devi essere sposato… e io non lo ero. Contemporaneamente, insieme a un amico che aveva studiato arti visive in Francia, abbiamo deciso di fondare un magazine on line per Esfahan, la nostra città. Una specie di guida per informare sugli spettacoli teatrali e le mostre e per segnalare gli eventi culturali in città. Purtroppo poi per mancanza di fondi siamo stati costretti ad abbandonare il progetto.”

I nuovi strumenti al servizio della comunicazione ai quali fanno da contrappunto i temi della incomunicabilità e della solitudine. E ancora, la questione della memoria, il denaro come motore che rende possibile tutto senza la reale necessità di un pensiero profondo a supporto.

Farid Amin, False Memories

“Le cose che mi danno fastidio diventano il tema della mia ricerca artistica, ma non mi pongo regole quanto all’utilizzo di un medium piuttosto che un altro. Sono contento di potermi definire poliedrico. La riscoperta di un archivio famigliare per esempio è stato il preteso per fare un lavoro fotografico sui ricordi dal titolo False Memories e mi ha fatto capire come fosse più semplice la vita senza tecnologia, come fosse più semplice essere vicini. Vedevo i miei parenti insieme ogni giorno in quelle immagini e pensavo al tempo e alla distanza per cui ho concluso che la distanza più lunga tra due luoghi è sempre il tempo.”

Farid Amin, One Handed Generation

Oppure la One Handed Generation, la generazione che per colpa della tecnologia è incapace di compiere anche i gesti di prossimità più scontati come per esempio stringere la mano all’altro dato che mani sono sempre impegnate con lo smartphone.

“Ma non è che la tecnologia non mi piaccia, è l’uso che se ne fa a non piacermi e il fatto che non siamo mai noi a decidere, ci sono sempre delle forze esterne a guidarci, intendo quelle dei main stream media. E per me l’arte ha sempre avuto questa funzione, è sempre stata una forma di denuncia ma anche di riscatto perché mi ha dato la possibilità di trovare il mio spazio nel mondo, la testimonianza di me e della mia esistenza in un determinato momento storico.”

Desidero ringraziare per la cortese intervista Farid Amin – web siteFacebookInstagram

Desidero ringraziare per la gentile collaborazione la Direzione dell’ Accademia Albertina di Belle Arti di Torino

Foto di Elisabetta Brian  

 

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