C’è una sorta di spiritualità che accompagna tutto questo lavoro. Non intesa in senso strettamente religioso quanto piuttosto una spiritualità che si nutre dell’esperienza dell’interiorità e degli aspetti più significativi dell’esistenza: il rapporto con gli altri e la creazione di bellezza che ne consegue.
Concreta e profonda eppure delicata e fragile, l’arte di Amelia Etlinger, a cui Osart Gallery dedica un’ampia retrospettiva dal titolo ‘An American Original. Visual poems from 1972 to 1983’, è incisiva come “il segno che si innerva sul muro che s’indora” per dirla con i versi di Montale e allo stesso tempo leggera come “il passo che proviene dalla serra sì lieve.”
Nata a New York nel 1933, Amelia Lucille (Wanderer) Etlinger trascorre un’infanzia travagliata con la famiglia affidataria e il fratello Leonard e riceve un’educazione elementare. “Non ne so nulla di arte” affermava lei stessa “e non capisco la pittura. La mia formazione si basa soltanto sulla poesia. In principio scrivevo racconti condividendoli con un’amica che mi disse: Amelia dovresti fare la poetessa… All’età di 29 anni cominciai a scrivere. Cominciai a scrivere perché dovevo farlo.”
E’ però agli inizi degli anni Settanta che il suo lavoro, anche grazie a figure di spicco con le quali entra in contatto per corrispondenza, inizia ad acquisire visibilità a livello internazionale: nel 1974, con l’aiuto di Ugo Carrega espone per la prima volta in Italia, a Milano al Mercato del Sale, e nel 1978, in occasione della XXXXIX Biennale di Venezia, partecipa alla collettiva tutta al femminile ‘Materializzazione del linguaggio’ curata da Mirella Bentivoglio. Ed è proprio dalla Collezione di quest’ultima, con la quale l’artista, aveva stretto un forte e intenso legame, che provengono la gran parte delle opere in mostra realizzate tra il 1972 e il 1983.
Uno spirito libero la cui poetica, altrettanto libera, fatica a trovare collocazione dentro il perimetro stretto delle definizioni. Certamente la Etlinger è stata una delle esponenti femminili della cosiddetta Correspondence Art, ma sarebbe riduttivo confinarla solo all’interno della corrente della Mail Art. Risuona in lei anche l’eco della Poesia Concreta e della Poesia Visiva, del Fluxus e delle sperimentazioni artistiche che hanno avuto luogo durante la seconda ondata del Femminismo Americano. Da autodidatta, verso la metà degli anni Sessanta, iniziò a scrivere poesie e racconti e solo in seguito, ispirandosi al lavoro di Edward Estlin Cummings, cominciò a concepire in maniera diversa parole e spazio. E’ dalla loro interazione che nasce la creazione. Poesia e non arte, insisteva lei stessa, costrutto multidimensionale “pittorico e scultoreo, sia letterale che astratto, oggetto e concetto allo stesso tempo” scrive bene Ellen Marie Helinka che ha redatto il catalogo della mostra.
L’arte dei fili, l’arte di una tessitura che viene dal cuore e si dipana tra amore e bellezza, libertà e sogni ma anche dolore e sofferenza. E colori e trame e tessuti a custodire scrittura e materia. Le parole fiore o farfalla o rosa convivono con pezzi di rete, di garza, di cellophane e poi semi, foglie, pizzo. Tutto concorre a formare dei collages stratificati, luoghi densi di emozioni e significazioni.
“Una mostra realizzata in collaborazione con la galleria L’Elefante di Treviso” racconta Andrea Sirio Ortolani proprietario e direttore di Osart Gallery. “Abbiamo avuto la possibilità di lavorare su quest’artista di cui ci è piaciuta subito la poetica, a tratti piuttosto struggente, esito di una storia di vita complessa in cui l’arte ha avuto anche funzione strumentale in un certo senso, è servita ad alleviare l’angoscia. Abbiamo avuto inoltre la fortuna di poter disporre di un nucleo considerevole di opere, cosa difficile in riferimento alla Etlinger che creava non per il fine di una mostra quanto piuttosto per sé stessa, per un’esigenza liberatoria della propria anima. Al di là di tutte le definizioni possibili, un’arte intimistica. Ellen Marie Helinka, fondatrice negli anni Settanta della rivista ‘13th Moon’ dedicata alla letteratura sperimentale femminile, e autrice del catalogo della mostra, avendo avuto la possibilità di conoscere e approfondire il lavoro di questa artista ci spiega come qui il mezzo sia in realtà strumentale a coltivare un rapporto personale con una determinata persona. Non è un caso che tutta la corrispondenza in mostra sia diretta a Mirella Bentivoglio, un’artista, curatrice, scrittrice e intellettuale a tutto tondo che ha permesso a molte altre artiste che gravitavano intorno a lei di avere maggiore visibilità e con la quale la Etlinger aveva stretto un legame profondo. Fa riflettere su come potesse essere bello ai tempi – a differenza di adesso – vivere un rapporto artistico. Era veramente arte fatta con il cuore tant’è che un cuore, spesso, appare nelle opere così come si rileva la presenza di un filo mai cucito a simboleggiare proprio un legame sentimentale. Guardare queste opere significa vedere questa storia, vedere un racconto emotivo, il rapporto con l’altro. D’altro canto proprio il fatto che il suo lavoro fosse di carattere intimo e spesso indirizzato alle singole persone, più che a un pubblico vasto, ha reso quest’artista poco compresa dai fondatori della Mail Art e oggi far conoscere la sua poetica richiede uno sforzo maggiore, ma io ritengo che sia proprio questa la sua grande originalità.”
Poetessa epistolare, sentiva che il linguaggio stava morendo calpestato e che il suo lavoro doveva evocare lo stato d’animo sentendosi in connessione con la parola nel momento della scrittura. Così scompone e ricompone il significato delle parole, ‘fa e disfa’ il loro senso collocandole dentro strutture visive. E le lega insieme con il filo (rosso) dell’esistenza poetica.
AMELIA ETLINGER: AN AMERICAN ORIGINAL Visual poems from 1972 to 1983
Osart Gallery | Corso Plebisciti 12, Milano – Web site – Facebook – Instagram
fino al 28 Settembre 2019 | dal martedì al sabato, 10 – 13/ 14.30 – 19 (entrata libera)
Foto di Elisabetta Brian
Abito di Faeze Mohammadi