Tra gli appuntamenti da non perdere in questa ricca stagione espositiva veneziana, certamente merita un approfondimento la grande rassegna monografica che Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna dedica alla poliedrica figura di Armando Testa (Torino, 1917 – 1992). Partendo dalle 17 opere entrate a far parte della collezione del museo con la donazione di Gemma De Angelis Testa, il progetto espositivo, curato dalla stessa insieme a Tim Marlow ed Elisabetta Barisoni, intende offrire un ritratto esaustivo “del più artista tra i pubblicitari e il più anomalo tra gli artisti”.
“Visualizzatore globale”, come lo definiva Gillo Dorfles, nella sua carriera più che trentennale Testa è stato capace esprimersi con una pluralità di linguaggi: oltre la pubblicità e le campagne promozionali, le immagini e le animazioni per la televisione, anche la pittura, la scultura e i disegni a dare conto del suo eclettismo. “Uno stile ben distinguibile è una comodità creativa – diceva. Io ho sempre scelto un’altra strada, perché in fatto di creatività sono curiosissimo. Quando negli anni Cinquanta arrivò il marketing ed il fotocolor, ricordo che il mio obiettivo artistico fu: non avere uno stile”.
Testa è stato creatore di celebri icone entrate a far parte dell’immaginario collettivo, che hanno accompagnato lo sviluppo della cultura visuale del nostro Paese dall’immediato dopoguerra in avanti. Martini & Rossi, Carpano, Borsalino e Pirelli sono alcune delle aziende che questo creativo a tutto tondo ha contributo a rendere celebri con le se invenzioni. Oltre alle campagne pubblicitarie entrate nella storia: dal digestivo Antonetto (1960) alla celebre sfera rossa sospesa sopra la mezza sfera del Punt e Mes, che in dialetto piemontese significa “un punto e mezzo” (1960); da Caballero e Carmencita per il caffè Paulista di Lavazza (1965) agli immaginifici abitanti del pianeta Papalla per i televisori Philco (1966); da Pippo, l’ippopotamo azzurro dei pannolini Lines (1966-1967), alle pubblicità per l’olio Sasso (1968) e per la birra Peroni (1968).
Ma anche la pittura ha avuto un ruolo determinante nello sviluppo delle sue ricerche.“Da appassionato cartellonista ho sempre guardato la pittura dal mio punto di vista: mi piaceva la semplicità dei primitivi, il chiaroscuro di Caravaggio, il volume di Michelangelo, Daumier, Sironi, fino ad arrivare a Picasso e Hartung”. A fare da contrappunto alla mirabile sintesi con la quale approcciava il suo ruolo di pubblicitario, con esiti di forte impatto espressivo, l’ambiguità della pittura intesa come metafora sognante. “Per un pittore passato alla pubblicità, che ha trascorso decenni a realizzare immagini semplici, telegrafiche, immediate ed inequivocabili, precise ed indiscutibili come un buco nei pantaloni, il desiderio di rifarsi una patina di ambiguità, almeno nelle ore libere e nei giorni festivi, è giusto e sano”.
Completano la mostra, visibile sino al 15 settembre 2024, alcune significative interviste, contributi video e un catalogo edito da Silvana Editoriale.