Inaugura domani 23 marzo 2021, allo Spazio Kryptos di Milano, la mostra fotografica di Barbara Pigazzi dal titolo “Through the shadow and the soul”, a mia cura. Una personale che si compone di due progetti differenti, frutto dell’evoluzione artistica di Pigazzi che arriva a questo appuntamento forte di una nuova consapevolezza estetica ed espressiva.
Al piano superiore della galleria sono esposti una serie di ritratti di donne, alcuni di grandi dimensioni: ritratti intimi, profondi, penetranti. Donne colte nella loro nuda essenza, in tutta la loro bellezza fragile e resiliente, dolorosa e generativa insieme. Al piano inferiore è invece possibile assistere alla proiezione del suo primo cortometraggio dal titolo “Non esserci”.
In questa intervista ripercorriamo i tratti salienti della sua poetica e l’evoluzione di un percorso artistico in costante divenire.
Francesca Interlenghi: Vorrei iniziare questa conversazione chiedendoti come è nata la tua passione per la fotografia. Quand’è che hai cominciato a scattare?
Barbara Pigazzi: Ho iniziato a fotografare quando avevo otto anni, con la prima Polaroid. Scattavo fiori, farfalle, tutto quello che vedevo nella campagna dove vivevo.
Francesca: Poi però dalla natura hai rivolto lo sguardo, in maniera preponderante direi, a te stessa, il tuo corpo, il tuo viso. A ben vedere é la materia che abbiamo immediatamente a disposizione e forse quella sulla quale è più semplice fare sperimentazioni. Come è avvenuto questo passaggio?
Barbara: Potrei dire che per me la fotografia è stata quasi una “prano fotografia”, nel senso che mi ha aiutata a crescere, con uno sguardo rivolto verso me stessa e in una dimensione molto profonda. Con l’intento, prima di tutto, di trasmettere emozioni allo spettatore, che è sempre stato il mio principale obiettivo.
Francesca. E’ corretto dire che a un certo punto la tua fotografia è stata un modo profondo per indagarti, per scoprire te stessa, la tua identità o le molteplici identità – sarebbe meglio dire – delle quali siamo tutti composti? Cosa hai scoperto, mi viene da chiederti?
Barbara: Credo di aver scoperto l’urlo incontenibile dell’esistenza, per dirla con il titolo del primo scritto che mi avevi dedicato. Un momento molto importante, forte, è stata la mostra “La gabbia” del 2016, dalla quale è emerso proprio questo urlo di donna. Emozioni molto intense, molto crude, che forse non si vogliono nemmeno vedere. Ma non mi è mai interessato sentirmi dire: che bella questa fotografia. Mi interessa l’immagine solo quando fa riflettere.
Francesca: La bellezza, così come la consideri tu e la esplori tu, non è una bellezza codificata ma è piuttosto una bellezza imperfetta, che scuote e crea turbamento in qualche modo. Com’è che l’hai traslata nella tua fotografia?
Barbara: E’ una bellezza che ferisce, potrei dire usando le parole di un maestro, Mustafa Sabbagh, dal quale ho imparato tanto e dal quale non smetto mai di imparare. Emerge da una lettura molto profonda, quando sposto lo sguardo da me all’altro. Cerco, attraverso il ritratto, di dare un senso ai turbamenti che fanno parte dell’essere umano: amori, dolori, sofferenze, gioie. E lo faccio con il mio sentire ovviamente, attraverso quello che è ed è stato il mio percorso.
Francesca: Rivolgi l’attenzione in maniera specifica, e puntigliosa in un certo senso, al mondo femminile. Le donne che hai colto nelle tue fotografie, sia che appartengano al mondo della moda, della musica o dello spettacolo, hanno tutte lasciato un’impronta dentro di te. Ma in egual misura, averle cristallizzate in un’immagine ha fatto si che anche tu lasciassi la tua impronta su di loro. Quali caratteristiche deve avere una donna per suscitare il tuo interesse? Per accedere quella scintilla che avviene quando avviene lo scatto?
Barbara: Deve essere vera. E’ l’unica cosa che chiedo prima di una sessione fotografica. Quello che si instaura con il soggetto che vado a ritrarre è sempre una forma di rapporto amoroso perciò l’autenticità è un requisito indispensabile. Al resto ci penso io!
Francesca: Dal punto di vista estetico le tue immagini prediligono il bianco e nero ma, oltre a questo, sono sempre molto poco elaborate. I segni di una donna, quelli che definiscono le sue espressioni – e le espressioni del tempo passato – sono comunque elementi che ti affascinano, anzi, sono parte costitutiva del tuo linguaggio narrativo.
Barbara: Mi piace la pelle, mi piacciono le vene, le rughe, l’imperfezione che rende perfetta l’immagine. L’idea di poter fermare un momento legato a un odore, a un profumo, credo sia una delle cose più difficili da fare. Ma anche una delle più emozionanti.
Francesca: Arriviamo a questa mostra “Through the shadow and the soul” in un momento particolare e direi anche di svolta della tua carriera. Un momento in cui viri da una dimensione personale a una di più ampio respiro. Non si tratta qui di esporre il diario per immagini di Barbara Pigazzi ma Barbara Pigazzi serve – quasi fosse uno strumento a servizio – per guardare altre donne e raccontare temi di portata universale, che riguardano tutte in fondo: l’amore, il dolore, l’abbandono, la resilienza, la fragilità.
Barbara: E’ un lavoro introspettivo quello che sono riuscita a fare, che parte certamente da me stessa, e di cui la fotografia è il mezzo, ma che ha come scopo quello di esplorare tematiche universali, che hanno a che fare con l’essere umano, soprattutto in questo momento di grande fragilità. Temi che ci attraversano tutti: l’amore, la fedeltà, la gioia, l’abbandono, la vulnerabilità. Ma è proprio qui la forza. Nel momento in cui una donna è vera davanti all’obiettivo della mia macchina fotografica, è forte. Perché è fragile. Io trovo tutto questo splendido.
Francesca: Una delle cifre del tuo lavoro è sicuramente il suo carattere sperimentale. Non a caso porti in questa mostra anche un cortometraggio, tua opera prima, dal titolo “Non esserci” che indaga la questione dell’abbandono. Un lavoro a carattere performativo incentrato sul linguaggio del corpo che arriva attraverso una serie di immagini in movimento poetiche, suggestive, avvolte da atmosfere rarefatte. Nato durante il periodo del lockdown in cui hai avuto modo di approfondire autori come Jung, e il suo Libro rosso, ma anche registi quali Antonioni.
Barbara: Mi sono dedicata moltissimo allo studio, ho ripreso in mano i miei testi sulla psicologia che mi hanno aiutata ad andare in profondità. Questo cortometraggio è stata una prova, certo, della quale però mi ritengo molto soddisfatta. Nonostante lungo questo cammino, non lo nascondo, io abbia incontrato non poche difficoltà. Ma anche questo lavoro, alla fine, è un atto di autenticità, non c’è nulla di recitato. E’ vero, come tutta la mia produzione.
Francesca: Infine Barbara, pur avendo già esposto in diverse personali ti presenti per la prima volta nella città di Milano, allo Spazio Kryptos. Quali sono le aspettative, se ne hai, rispetto a questo progetto?
Barbara: In realtà io vorrei solo continuare a essere me stessa. E’ questa la mia unica aspettativa. E mi pare il modo migliore per concludere la nostra chiacchierata.
THROUGH THE SHADOW AND THE SOUL
di Barbara Pigazzi
Mostra personale + cortometraggio d’autore “Non esserci”
A cura di Francesca Interlenghi
Milano, Spazio Kryptos | Via Panfilo Castaldi 26
Inaugurazione 23 marzo ore 16:00 – 21:00 in ottemperanza alla vigente normativa anti COVID
NON ESSERCI |2020 cortometraggio dur. 8.02
Regia Barbara Pigazzi
Performer Francesca Interlenghi
Riprese Marlene Masiero
Produzione musicale Luca Spaggiari (Fargas) per Private Stanze
Testo tratto dal libro di Umberto Galimberti “Le cose dell’amore” ed. Feltrinelli, Milano 2004
Realizzato nella località Valle Millecampi, Spiaggia della Boschettona, Territorio della Saccisica, Conche di Codevigo (PD) con la collaborazione dei Comuni di Codevigo e di Arzergande