BELLISSIMA, L’ITALIA DELL’ ALTA MODA 1945-1968

Una mostra che è un viaggio magico tra i nomi che hanno fatto la storia della moda e dello stile italiani: Renato Balestra, Roberto Capucci, Fernanda Gattinoni, Emilio Pucci, Pino Lancetti fino a Valentino. E gli accessori di Gucci, Ferragamo, Roberta di Camerino insieme a una eccezionale selezione di gioielli di Bulgari, main sponsor dell’evento, pezzi unici rappresentativi di un’epoca che ha visto il marchio imporsi in tutto il mondo come protagonista indiscusso del lusso.

Si intitola Bellissima questa grande mostra a cura di Maria Luisa Frisa, Anna Mattirolo, Stefano Tonch, dedicata all’alta moda italiana, inaugurata lo scorso anno a Roma, negli spazi del MAXXI, e fino al 10 gennaio 2016 a Villa Reale a Monza. Bellissima come il film del 1952 di Luchino Visconti che ritrae una intensa Anna Magnani nella parte di una madre che vuole a ogni costo la figlia bambina protagonista di un film a Cinecittà. Bellissima come la voce di tutti quegli autori che tra il 1945 e il 1968 hanno saputo dare forma e consistenza al grande successo di quello che poi diventerà un valore universalmente riconosciuto: il Made in Italy.

E’ appena terminata la guerra e dalle macerie di un Paese in ginocchio prova a ergersi con tutta la sua forza l’identità creativa italiana. Lentamente prende forma il concetto di moda come laboratorio creativo, dialogo costruttivo tra cinema, arte, letteratura e design. Luogo d’elezione per queste nuove indagini sulla contemporaneità è l’atelier.

Una galleria di ritratti realizzati da Federico Garolla fra gli anni ’50 e ’60 mostra i sarti immersi proprio in questo luogo, in uno spazio individuale e corale insieme in cui nascono abiti e collezioni ma che diventa anche un ambito di produzione culturale testimone delle affinità che legano creatori di moda e artisti. Dentro l’atelier la moda si fa disciplina rigorosa e non solo espressione di un’inventiva fine a sé stessa.

Ci sono le donne avvolte nelle vesti da gran sera, sagome altere e flessuose, corpi femminili di seducenti pellegrine dirette ai grandi balli e nei foyer dei teatri. La ricerca strutturale impone di abbandonare i volumi esagerati e i virtuosismi dell’artigianato del ventennio precedente e gli abiti si concentrano su architetture sofisticate che paiono compiacere l’immaginazione.

C’è il grafismo rigoroso del bianco e nero declinato in nuove soluzioni formali che ridisegnano la silhouette esaltando l’evoluzione delle linee tra lunghezze inaspettate e accostamenti di materiali inusuali.

C’è l’eleganza trattenuta degli abiti di mezza sera per occasioni mondane quasi quotidiane, meno spettacolari dei grandi eventi. L’abito da cocktail è il banco di prova per le ardite sperimentazioni dei creatori italiani. Fanno la loro comparsa i pantaloni, la punta delle scarpe si allarga, il tacco si abbassa e si inspessisce per far fronte a situazioni più rilassate e meno formali.

Ci sono le invenzioni per le attrici della Hollywood sul Tevere perché proprio tra gli anni ’50 e ’60 il cinema italiano e le grandi produzioni internazionali si nutrono dell’alta moda. L’atelier delle Sorelle Fontana è lo scenario del film di Luciano Emmer “Le ragazze di Piazza di Spagna” (1952) e sempre delle Sorelle Fontana sono gli abiti utilizzati da Michelangelo Antonioni nel film “Le amiche” (1955). La moda si lega al glamour delle attrici della dolce vita da Ava Gardner a Isabella Rossellini, da Gina Lollobrigida a Audrey Hepburn e Ingrid Berman.

C’è poi l’attrazione per l’Oriente tipica di quegli anni che si trasforma in ricami preziosi, motivi floreali, decorazioni scintillanti. Nel 1960 il Pijama Palazzo creato da Irene Galiziane e Federico Forquet riscuote grandissimo successo. Gioielli che fanno un pigiama, un pigiama che fa gioiello per una diversa idea di lusso e di donna languidamente adagiata sui cuscini dei salotti romani.

E ancora pailettes, frange, placche in alluminio e disegni geometrici che dialogano con le forme sintetiche degli abiti. Stralci di futuro in una estetica come proiettata verso un domani ricco delle suggestioni del Kubrik di “A Space Odyssey” (1968) e che dai palazzi barocchi della nobiltà romana si sposta sulla pista del Piper Club .

Infine i completi da giorno, i tailleur, i cappottini sono pezzi che definiscono contesti urbani moderni e sono espressione altra di quella stessa alta moda che non necessita di occasioni speciali o atmosfere da sogno rarefatte per esibirsi. Una moda di altissima qualità che mischia artigianale con industriale e che tra la fine degli anni ’50 e inizio dei ’60 inizia il percorso verso il prêt-à-porter.

La mostra curata da Maria Luisa Frisa, Anna Mattirolo e Stefano Tonchi indaga, in questo appuntamento, anche il rapporto dell’alta moda con le industrie tessili e si arricchisce di una spettacolare selezione di materiali tra cui spiccano quelli di Agnona, Lanerossi, Clerici Tessuto, Marzotto. Perché non si abbia a dimenticare che la premessa fondante della nostra alta moda risiede proprio nella qualità unica dei tessuti che l’hanno animata.

 

1961 ‘Azalea Rosa’  Roberto Capucci

Prima presentazione: Firenze Sala Bianca Palazzo Pitti

Abito – scultura  corto sul  davanti in mikado ciclamino con elemento a cappa e coda

Foto Claudia Primangeli

Archivio Storico Fondazione Roberto Capucci

1969 ‘Omaggio a Burri’ Roberto Capucci

Prima presentazione: Roma Atelier Via Gregoriana

Cappotto, base in georgette nera, con elementi asimmetrici applicati in lana bianca.

Foto Claudia Primangeli

Archivio Storico Fondazione Roberto Capucci

BULGARI “Serpenti” bracelet-watch in gold with rubies and diamonds, 1967

BULGARI Necklace in platinum with rubies and diamonds, 1959

Collezione autunno/inverno 1960-61. Cappotto doppio petto in visone con lavorazione chevron in tre colori alternati per la parte superiore e bianco assoluto a fasce orizzontali per quella inferiore unita da una zip.

Biki nel suo atelier a Milano, 1953. Foto Federico Garolla. © Archivio Federico Garolla. 

Germana Marucelli nel suo atelier a Milano, 1953. Foto Federico Garolla. © Archivio Federico Garolla.

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