A Parma, tra le collaterali di Mercanteinfiera, questa nuova edizione Autunno 2023 propone fino all’8 ottobre anche “Comunicare la moda: identità, trasformazione e immaginari di genere (1960-1980). Un percorso negli archivi CSAC”. La mostra, realizzata in collaborazione con Archivio CSAC e curata da Lucia Miodini, muove dallo studio dei materiali originali conservati negli Archivi della Moda del Centro Studi e Archivio della Comunicazione Visiva di Parma, dando conto della trasformazione del sistema moda tra la fine degli anni Sessanta e gli Ottanta del secolo scorso.
I profondi cambiamenti sociali e politici che la contestazione del Sessantotto porta con sé non tardano a sortire i loro effetti anche nella dimensione del vestire, relegando l’alta moda a un contesto marginale, quello che meritava una sovrastruttura dello stato borghese che non guardava ai reali bisogni della società moderna. In effetti, i ritmi sempre più frenetici della vita lasciano poco spazio agli indumenti formali creati dai sarti. E mentre i trend accellerano e i giovani creativi danno vita al fenomeno delle boutique, la moda recupera per la prima volta le istanze della strada, con idee innovative adottate da personalità di spicco come Yves Saint Laurent. In uno scenario economico-sociale in cui l’industrializzazione porta a una progressiva democratizzazione dei beni di consumo, l’alta moda perde terreno in favore della confezione in serie aprendo di fatto la strada all’affermazione del prêt-à-porter, che germina nel clima fervido del capoluogo lombardo: città dell’industria, del design e delle nuove sperimentazioni artistico-architettoniche.
Grazie ai sempre più sofisticati sistemi di produzione, che dagli Stati Uniti vengono adottati anche in Europa, la figura del sarto-couturier cede il passo a quella dell’ideatore-progettista, che propone una linea di modelli a una o più aziende a cui è legato da contratto professionale. L’antesignano della nuova figura dello stilista è Walter Albini, creativo a tutto tondo che ha giocato un ruolo fondamentale nella moda italiana, nonostante la brevità della sua carriera spezzata dalla morte prematura, arrivata che aveva solo 42 anni. Dietro sua iniziativa, gli stilisti non lavorano più in forma anonima per società che realizzano linee senza marchio, ma iniziano a collaborare alle collezioni di marchi specializzati. Terminato il lungo sodalizio con Mariuccia Mandelli (in arte Krizia), Albini prosegue la sua vicenda con griffe come Gianni Baldini, Billy Ballo, Cadette e Trell. Versatile ed eclettico, sa proporre tanti stili differenti a seconda delle aziende con le quali si interfaccia. Nel 1968 presenta sulla passerella della Sala Bianca di Palazzo Pitti ben 5 collezioni per altrettanti brand (Billy Ballo, Krizia maglia, Montedoro, Princess Luciana e Trell) e successivamente, nell’aprile del 1970, con il suo marchio Misterfox (nome suggerito dalla giornalista Anna Piaggi) sfila a Palazzo Pitti con la collezione Anagrafe ispirata agli anni Venti: 16 outfit in totale, di cui 8 neri intitolati “vedove” e 8 bianchi intitolati “spose”. Lo stretto legame con i moduli della cultura figurativa degli anni Venti e Trenta è un segno ricorrente delle sue creazioni, nelle quali tornano le atmosfere descritte nei romanzi di Fitzgerald, così come quelle del cinema hollywoodiano degli anni d’oro, o ancora le suggestioni dei creatori francesi dei primi del Novecento. Tra loro, un’affezione particolare per Coco Chanel, dalla quale rimane folgorato dopo averla incontrata brevemente a Parigi. Nel 1971, a seguito del suo debutto milanese al Circolo del Giardino, la rivista americana WWD definisce la sua operazione progettuale putting together e consacra lo stilista a “nuovo astro italiano, forte come Yves Saint Laurent”.
Ma l’articolato progetto espositivo documenta anche il processo di modificazione della moda e dei suoi presupposti concettuali che, a partire dagli inizi degli anni Settanta, animano tutto il decennio. Cambia il ruolo della moda e la parola stessa trasmette una moltitudine di significati diversi a persone diverse. Godendo di una nuova libertà, le donne sovvertono le regole del guardaroba e indossano i pezzi mischiandoli in modo inconsueto e adattandoli alle varie situazioni. Espressione di un femminile libero, felice, che fa ciò che vuole, gli abiti sono colorati, ricchi di stampe, le texture si mescolano, si indossano scialli ricamati che ricordano l’abbigliamento tradizionale spagnolo e stivali dipinti a mano. Le donne spiccano per l’originalità e la varietà del loro aspetto, raramente conforme all’idea imposta da altri su cosa significhi essere eleganti. “Is bad taste a bad thing?” chiede Vogue UK ai sui lettori in un editoriale del 1971. È il primo anno in cui il magazine non dedica alcun servizio alla minigonna. “The proportion begins and ends with your body”, a dire di una nuova stagione del vestire che si apre all’insegna di linee fluide e tessuti morbidi. Un decennio di anarchia in cui nessuno stile prevale e in cui semplicità, sovrapposizioni, stratificazioni, nostalgia e fantasia sono tutti termini che hanno eguale peso nel panorama creativo. Le componenti che articolano la sintassi della moda sono, in questo momento, le più disparate: pantaloncini corti vengono abbinati a camicette con le maniche a sbuffo, fiocchi nei capelli, make up marcato e scarpe con la zeppa. Gli hot pants diventano così popolari da essere indossati anche dalle segretarie per andare in ufficio. Le stampe assurgono a elemento essenziale del vestire: Missoni inizia la rivoluzione della maglieria sperimentando colori originali e metodi di produzione innovativi. La maglia è il nuovo indumento iconico: con le maniche a pipistrello o a kimono, a righe o fantasia, lucide come fossero di vernice e indossate le une sopra le altre in maniera del tutto insolita. All the classics are new looks, per dire che tutto ciò che può considerarsi acquisito e quindi classico nella moda ora può essere trasformato in qualcosa di nuovo ed originale.
In Italia, sul finire degli anni Settanta, il nuovo rapporto tra stilisti e produttori di filati innesca nuovi stimoli alla competitività, alla produzione, all’innovazione, favoriti dall’esistenza dei distretti industriali che si impongono come una peculiarità del sistema italiano. Lo stretto connubio tra imprenditori e stilisti traghetta la moda dentro il fenomeno della griffe, che caratterizza tutti gli anni Ottanta, trasformando gli stilisti in vere e proprie star che appongono, come fosse un sigillo, la loro firma ovunque.
Contestualmente all’affermarsi di una mascolinità più disinvolta e a proprio agio con sé stessa, interpretata da Richard Gere nel film American Gigolo (1980), si impone anche una tipologia femminile dotata di un’energia e di una forza quasi virili, che trova la sua massima espressione nel power look della donna in carriera. I maglioni e le gonne larghe del decennio precedente vengono scartate perché non trovano più consonanza con i nuovi ruoli di comando. La silhouette femminile, dopo il disordine hippy, punta all’enfatizzazione di un corpo eroico messo ancora più in evidenza da tacchi alti e spalline volutamente marcate. La linea delle spalle della giacca, squadrata e imbottita, è bilanciata sui fianchi dalla vita stretta, spesso fasciata da un’ampia cintura. Accanto allo stereotipo della career-woman, esaltato massimamente da Armani che dalla metà di quel decennio comincia la sua inarrestabile ascesa, si assiste al contempo all’audace esibizione del corpo proposta da Versace, alla sua proiezione fantastica con Krizia o ancora alla sua formulazione architettonica con Ferrè.
La mostra, grazie al suo carattere documentale, dà conto della creatività, dell’immaginazione e della versatilità della moda italiana, caratterizzata da sfaccettature e stili diversi che hanno sempre saputo convivere insieme, facendo del nostro Paese un luogo privilegiato per lo sviluppo dell’inventiva.
Cover story: Carlo Palazzi, Pubblicazione 15 anni di moda 1966-1981, 1982, Cortesia dell’Archivio CSAC