Il tentativo è quello d inseguire l’idea di Corpo e l’idea di Poesia in un loro inafferrabile gioco alterno di sdoppiamento e identità. Due figure ora perfettamente sovrapposte, ora debordanti dall’unico profilo.
Ampliare l’Arte? No. Bensì portati con l’arte là dove sei più ristretto in te stesso. E realizza la tua libertà. Io ho percorso anche qui, in Loro presenza, questa strada. E’ stato un percorso circolare.
Paul Celan
Mile Giacomazzi si dedica alla fotografia di ritratto, in particolar modo di esponenti del mondo della cultura, all’autoritratto e alla fotografia d’arte, utilizzando prevalentemente il bianco e nero. Rivolge la macchina verso sé stessa o verso l’altro per creare, di volta in volta una sorta di teatro. Sue opere sono inserite nell’archivio del Fondo Malerba per la Fotografia di Milano, nel Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, nella fototeca della Biblioteca Baratta della città di Mantova, nel Museo Nori de’ Nobili di Ripe (Ancona) ed in collezioni private. Annovera esposizioni sia in Italia che all’estero.
Marilina Giaquinta è nata e vive a Catania dove è Dirigente della Polizia di Stato presso la Questura. Scrive da sempre, ha pubblicato raccolte di poesie e racconti, è nell’antologia Umana troppo umana, a cura di Fabrizio Cavallaio e Alessandro Fo (Nino Aragno 2016). Addimora, da cui ho tratto queste poesie, è una raccolta con un linguaggio di ossa e nervi, mai sdolcinato, anche quando i sentimenti intensi sono in primo piano. In una scrittura essenziale mescidata di vocaboli dialettali o della lingua letteraria dotta, e anche di neologismi e arcaismi, il dialogo in versi è con un tu e dice della realtà che è amore e disamore e riflessione, in una costante comunicazione con una natura amica
II
E se devo vivere
con te,
che non sia
dentro questi cieli
acquei e cinerigni
e sgrigiati di pena
e alluttati e infuliniati
e affoscuti di sole,
infriddata la luce
e slagata sui piani
inchiovati di filazzelle
d’alberi rinseccuti
e imbarbazzuti di nero.
Prestami i tuoi occhi,
ho bisogno di capire
l’avvezzo
di questi cieli
che aggorgano
soli
e senza rumore.
VIII
Se non mi abbracci muoio.
Se non mi stinnicchi
longa longa
per terra
e non m’asserragli
non m’accerchi
non m’encircli
non m’intorcigli,
che addivengo
trinacria
che m’assoperchia
una gamba
e m’ammancano
i capoluoghi,
m’infrenesisco.
Se non mi baci
e non mi stai
avventosato
come la remora
col pesce spada
e non t’indaffàri
e non t’affaccendi
e non t’infanatichi
a togliermi il respiro
e tutto quello che trovi
a sud del mio pensiero
mi scempio.
Se non m’ami
amore mio
io non esisto
e il cuore
si scatafolla
e se ne va.
XXIII
Se ne va
se ne va via,
come un treno
che strazza
la campagna,
che non ha il tempo
di fermarsi
a chiedere perdono,
se ne va
se ne va via,
come l’ombra
che non conosce
la memoria del vento
che soffia
lì dove è già stato,
perché è l’assenza
a generare il posto
del silenzio,
e l’indulgenza
della strada.
E allora non basta
invertire il senso
o la direzione,
tenere l’andatura
incauta o sconsiderata,
rovesciare le parti
o tradirne il contrario
scongiurare il disastro
o arrischiare il disordine
o eliminare il torto
o la convenienza
del patto.
E intanto tu mi dici
pensa a domani:
ci sarà un letto
in cui ti prenderò
le mani
o quello che vuoi,
e ci faremo tutto
quello che serve
per convincerci
di essere giusti,
magari mangiamo
qualcosa
o ci togliamo i vestiti
o ci perdiamo la fine
o parliamo del tempo,
che quest’estate
non dà resto
come un parchimetro
che sputa il permesso
per poter rimanere,
che ci vogliono i soldi
anche per stare fermi
da qualche parte
a sognare.
LXV
Quanto ti viene strano
innamorarti
con la grammatica
di regole
di cui riempi
l’annuncio
di un incontro
e che ripeti a memoria
e che rispetti:
prima viene l’abbraccio,
soggetto e predicato
del tuo discorso amoroso,
censimento tattile
dello spasimo muscolare
e del suo ritmo indifeso,
la gara dei dubitosi brividi
a chi arriva primo
lungo la priva schiena,
la conta forsennata
del balenio cardiaco,
l’insinuarsi serpigno
delle mani tese all’assedio,
un’iradiddio di carezze
l’appressamento tattico
al ladroneggiare del bacio
il boccio dello spiraglio labiale
l’insinuarsi forcuto della lingua
la fatalità imprevista della saliva
la protesta e il duello del naso
la posta fremente del sesso
la disfatta scema dei sensi
e l’illusione innocente
di aver raggiunto alla fine
il commiato dalla morte.
Mile Giacomazzi, web site – Facebook – Instagram
Marilina Giaquinta, Libri – Facebook – Instagram
Paul Celan, La verità della poesia. “Il meridiano” e le altre prose, a cura di Giuseppe Bevilacqua, Einaudi, Torino 2008. Il breve testo ripostato è tratto da Il meridiano, Discorso in occasione del conferimento del Premio Georg Buchner, Darmstadt, 22 ottobre 1960.