Si inserisce nel filone di ricerca che a partire dagli anni Sessanta, in totale contrapposizione con l’allora dominante soggettivismo espressivo dell’action painting americana, pone l’enfasi sul carattere oggettuale del manufatto artistico, il lavoro di Marcia Hafif (Pomona, California, 1929 – 2018) a cui la galleria Tiziana Di Caro dedica a Napoli la prima personale dal titolo “Tra consapevolezza linguistica e risultati oggettuali”.
Le opere in mostra, abbracciando un arco temporale che va dal dal 1974 al 2008, danno conto della produzione monocromatica dell’artista, orientata al processo e all’esplorazione più che alla sintesi riduzionista tipica di alcuni suoi celebri predecessori: Rauschenberg, Rodchenko e Ryman tra tutti. L’interrogazione su cosa sia la pittura, assume in Hafif carattere prevalentemente sperimentale. È l’artista stessa a definire ognuno dei suoi lavori “esperimenti volti allo scopo di vedere più da vicino”. Non un mero esercizio di stile quindi, ma il risultato di un complesso sistema fatto di pensieri, tecniche, gestualità che si ripetono come in una meditazione, colori che attraversano le tele generando variazioni nelle singole opere. Una pratica pittorica accompagnata da una riflessione scientifica, che afferisce in particolare all’uso del colore, con la creazione di sottili sfumature e tensioni tra le varie tonalità, e che Marisa Volpi Orlandini, in un articolo pubblicato sulla rivista Data del 1974, descriveva in termini di “consapevolezza linguistica” e “risultati oggettuali” (da cui il titolo dell’esposizione).
Nota per i suoi quadri a tinta unica, in realtà Hafif è stata una figura eclettica che ha insistito molto anche sul disegno, una sorta di “apri pista” delle sue esplorazioni in ambito pittorico. Dopo essersi diplomata in California ed aver trascorso gli anni dal 1961 al 1969 a Roma (dove realizza circa 500 opere tra cui anche collage e serigrafie), si trasferisce a New York sperando di beneficiare del fervente clima culturale del periodo. Disattese le sue aspettative, è proprio tracciando linee verticali con la matita su un foglio che mette a punto un procedimento che le permette di approfondire le sue riflessioni sullo spazio. Da qui scaturisce un’intuizione semplice che la porta a indagare la superficie della tela riempiendola con pennellate verticali, esattamente come aveva fatto con i disegni: partendo dall’alto verso il basso e procedendo come nella scrittura, da sinistra verso destra. Questa pratica converge nella pittura monocroma a cui l’artista dedica tutta la produzione successiva.
Visibile sino all’8 febbraio 2025, la mostra è un’ottima occasione per affrontare il lavoro di un’autrice che, flirtando con il potere seduttivo del colore, ha saputo mantenere un controllo analitico della procedura operativa senza mai aderire del tutto alla rigida impersonalità del minimalismo più tipico.
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Cover story: Una veduta della mostra di Marcia Hafif, Tra consapevolezza linguistica e risultati oggettuali, galleria Tiziana Di Caro, Napoli © Danilo Donzelli Photography