La prima volta che ho visto Luisa (Leonardi Scomazzoni) me la ricordo bene: era qualche anno fa in uno di quei giorni caotici che animano la settimana della moda milanese. Il nostro è stato un incontro inatteso, di quelli che capitano senza una ragione dietro o forse con tutte le ragioni dentro. Magari ci stavamo aspettando. Così mi è venuto da pensare per molto tempo a venire. Quel pomeriggio avevamo parlato fitte fitte, raccontandoci frammenti di noi, costruendo un puzzle che pareva ricomporsi con naturalezza nella comune passione per la ricerca, la moda, i viaggi, le culture altre. Noi. Lontane eppure così vicine, legate da parole che si imprimevano nell’aria. Un respiro solo nostro. Prima di salutarci Luisa aveva fatto il gesto di sfilarsi la collana che portava e mettermela al collo. “Non lo faccio con tutti” aveva detto piano. E se ne era andata lasciandomi lì immobile e sospesa con indosso decine e decine di linguette di lattine di alluminio. In ognuna la storia di una donna, delle sue mani, del suo lavoro, della sua resiliente ingegnosità. La storia del Brasile. E di me, che nelle settimane successive non ho mai più tolto quella collana finendo casualmente tra gli street style più interessanti raccolti da Vogue NY nella stagione A/I 2018-19. A riguardarmi adesso, mentre scrivo, penso al viaggio lungo di quelle lattine: partite dalle favelas brasiliane, sono transitate sul mio collo e poi approdate su un magazine di moda. E’ proprio vero che, se mossi dall’amore, si può fare estetica su tutto.
La storia di Dalaleo, originale brand di borse eco e accessori, inizia per caso nel 2005 quando, in uno dei suoi tanti viaggi, Luisa approda in Brasile. E subito rimane colpita dai cumuli di lattine che vede ammassati ai bordi delle strade: un’immagine che le resta dentro, come un segno, che poi si rivelerà indelebile nel suo destino.
In quel viaggio, visitando un mercato artigianale a Salvador de Bahia, la sua attenzione viene catturata da alcune borse luccicanti appese a una delle tante bancarelle. Ma quando scopre che sono realizzate con le linguette delle lattine e cucite all’uncinetto ne compra subito venti e le mette in valigia pronta a ripartire per l’Italia e a mostrarle alle clienti del suo concept store di Riva del Garda: un collettore di prodotti legati all’artigianalità artistica, una sorta di grande salotto di casa in cui Luisa accoglie chiunque voglia godere insieme a lei della bellezza. Ma anche una finestra sempre aperta sul mondo, aperta alla sperimentazione e alla contaminazione e a tutti gli esiti creativi che la commistione di estro e cultura può produrre.
Stupita lei stessa e lei per prima dal successo e dall’interesse che generano quelle borse decide di fare ritorno in Brasile con l’intento di conoscere meglio la realtà locale. Scopre così una filiera incredibile: uomini e donne il cui lavoro consiste nel raccogliere da spiagge e strade, e mettere dentro enormi sacchi di plastica, le lattine abbandonate a terra per venderle ai riciclatori di alluminio che ne staccano le linguette e le rivendono alle donne che poi le lavorano. Sono sacchi di 40/50 chili di linguette che vengono lavate, asciugate e poi manipolate dalle sapienti mani delle donne brasiliane con la tecnica dell’uncinetto.
Ma scopre anche quanto la penuria di mezzi possa funzionare da incentivo per lo sviluppo della creatività, permettendo di reinventare un materiale di scarto, un prodotto che ha esaurito il suo ciclo vitale dandogli nuova linfa e caratterizzandolo addirittura come accessorio di moda.
Nel novembre 2006 Luisa ritorna in Brasile e disegna una piccola collezione facendo tesoro degli errori commessi nei due anni precedenti. Apporta il suo gusto estetico, le sue conoscenze, lo studio dei volumi e delle forme, tutte migliorie che trasformano un prodotto da bancarella in un prodotto raffinato adatto a una donna attenta alla moda ma non succube di essa, una cittadina del mondo che ama indossare qualcosa di unico e speciale.
Da quegli esordi, il brand Dalaleo è diventato una realtà solida e strutturata: borse, zaini, clutch, collane, bracciali, votati alla funzionalità e alla praticità ma che non scendono mai a compromessi con la questione del bello. Un’estetica avant-garde e contemporanea che si sposa con un moderno concetto di eleganza.
“Dal 2005, anno in cui mi sono recata per la prima volta in Brasile, è stato tutto un susseguirsi di emozioni e di eventi inattesi. Non sapevo nulla, non conoscevo nessuna delle dinamiche che regolano l’industria della moda …pensa che non avevo nemmeno idea che si dovessero fare nuove collezioni ogni sei mesi! A differenza di tanti miei colleghi io sono sempre stata un’outsider, inesperta e inconsapevole sono andata avanti guidata esclusivamente dal mio istinto!”
Ad oggi, alcuni prodotti sono ancora realizzati totalmente in Brasile ed altri – quelli che indosso – nascono invece in Italia dove la materia prima viene ripresa, lavorata e assemblata. Uno sforzo, quello di mettere insieme e far convivere armonicamente Made in Brazil con Made in Italy, che nasce sia da una propensione quasi maniacale di Luisa per la perfezione, sia dalla sollecitazione del mercato, soprattutto quello estero, intransigente rispetto a certi standard di produzione. Ecco perché le linguette, una volta arrivate a Riva del Garda, vengono ritrattate da Luisa, lavate di nuovo e asciugate così da diventare lucenti, come fossero nuove, e assemblate anziché con la tecnica dell’uncinetto e filo con un altro tipo di lavorazione.
“Creare una comunità locale era stata la mia idea iniziale, quella con cui ero partita mossa dalla volontà di aiutare le donne brasiliane anche attraverso un’Onlus attiva sul territorio. Salvo poi scontrarmi con la realtà e cioè capire che è una nostra velleità quella di voler imporre, a popolazioni altre, dogmi e schemi che ci appartengono. Non è forse un modo per ripulirsi la coscienza pensare di migliorare le vite altrui usando i nostri mezzi? Io volevo dare lavoro e vedere il benessere di queste donne ma ho capito che il mio benessere non coincideva necessariamente con il loro. Chi può stabilire se un sistema di vita è migliore o peggiore di un altro? Di certo non io! Allora non ho forzato la mano e non ho stravolto nulla. Nessuna comunità, nessuna imposizione. Le donne continuano a lavorare autonomamente e in maniera indipendente e io prendo quello che possono darmi, sapendo che posso pretendere fino a un certo punto. Il resto lo ottengo in Italia.”
Quella che Dalaleo riesce a fare è una perfetta operazione di up-cycling: un processo di rinnovamento di un determinato materiale che viene reso più desiderabile di quanto non fosse all’inizio. Le linguette delle lattine mutano da prodotti di scarto, e quindi di basso valore economico, in nuovi prodotti che, decontestualizzati e ri-contestualizzati in differente ambito, diventano esclusivi dal punto di vista estetico e apprezzabili dal punto di vista etico.
“Dove mi porterà il domani non lo voglio sapere, così come non lo sapevo nel 2007. Questo mio percorso è stato un’ escalation di emozioni e vibrazioni sorprendenti che hanno riempito la mia essenza. Non avevo aspettative, piani o decisioni prese a priori. Non sapevo a cosa sarei andata incontro e forse questa è stata la mia fortuna.”
Dalaleo: web site – Facebook – Instagram
Foto di Alberto Nidola