Dopo le collettive African Textures e African Characters, Osart Gallery di Milano si prepara ad accogliere, a partire dal prossimo 25 maggio, la mostra dell’artista Dan Halter (1977, Zimbabwe) “Money loves money”, inaugurando così un ciclo di personali dedicate alle figure più significative della scena contemporanea dell’Africa meridionale.
Dan Halter, The Communist Manifesto (How the west was lost), 2020, Hand-woven archival ink-jet prints, 150 x 77 cm, Courtesy Dan Halter and Osart Gallery
Interessato alle tematiche relative all’attualità post coloniale, ai confini politici, ai fenomeni migratori, all’instabilità economica e alla situazione politica e sociale in Africa meridionale e nel suo paese di origine, lo Zimbabwe, Halter realizza le sue opere avvalendosi di un’individuale quanto originale tecnica di intreccio che applica a materiali dal forte valore simbolico, spesso connessi a usi popolari. Imprimendo così una veste artistica e contemporanea all’arte antica della tessitura e rendendola densa di concettualismo. Valorizzando al contempo i mestieri e la ricchezza dell’artigianato locale, anche grazie alle virtuose collaborazioni che l’artista mette in atto con le persone del luogo.
Ne è un esempio l’opera Rifugiato – Mappa del mondo (2019), la cui ispirazione nasce dal lavoro di Alighiero Boetti, in cui i brandelli di borse sono cuciti insieme a formare un planisfero dove le aree interessate dall’emigrazione sono consunte, mentre quelle caratterizzate dall’immigrazione sono praticamente nuove.
Dan Halter, Rifugiato Mappa del Mondo (China-centric) 1, 2019, Found plastic-weave bags, 183 x 380 cm, Courtesy Dan Halter and Osart Gallery
A questi elementi, Halter associa poi l’utilizzo delle parole che mutua dai testi che sono stati fondamentali nel suo percorso di formazione. Animal Farm di George Orwell è intessuto nella banconota da 100 bilioni di dollari zimbabwiani, ma anche Heart of Darkness di Joseph Conrad si unisce al dollaro statunitense esibito in galleria. Oltre a testi ideologici come Il Manifesto del Partito comunista di Karl Marx, intessuto a formare la banconota dei 100 Yuan sulla quale è effigiato Mao e Il contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau intrecciato sulla banconota da cento trilioni di dollari zimbabwiani, che simbolicamente rappresenta la vertiginosa perdita di potere d’acquisto della popolazione a fronte dell’inflazione. Senza dimenticare il testo integrale de Il Principe di Niccolò Machiavelli che trova spazio nelle vecchie 100.000 lire italiane, lavoro nato proprio in occasione di questa personale.
Dan Halter, The Communist Manifesto (How the west was lost), 2020, Hand-woven archival ink-jet prints, 150 x 77 cm (detail), Courtesy Dan Halter and Osart Gallery
Il titolo della mostra, tutta la riflessione sulle banconote, finanche il loro ingrandimento, nasce dall’esperienza diretta dell’artista, che in Zimbabwe ha assistito al susseguirsi di valute diverse nel corso di pochi anni, nel tentativo di resistere alla svalutazione e al tracollo economico. Nel 2009, dopo che l’iper inflazione aveva raggiunto i 300 trilioni di Z $ contro 1 $ USA sul mercato nero, la valuta locale è stata abbandonata in favore del dollaro USA. Nel 2014, la banca centrale dello Zimbabwe ha annunciato che il dollaro USA, il rand sudafricano, il pula del Botswana, la sterlina inglese, l’euro, il dollaro australiano, lo yuan cinese (renminbi), la rupia indiana e lo yen giapponese sarebbero stati tutti accettati come valuta legale all’interno del Paese. Di gran lunga il più utilizzato, il dollaro USA ha iniziato a esaurirsi e così nel 2016 lo Zimbabwe ha cominciato a immettere sul mercato obbligazioni come forma di moneta a corso legale. Nonostante le banconote siano ancorate teoricamente al dollaro USA, il loro valore, come quello dell’ex dollaro dello Zimbabwe, sta drammaticamente crollando di giorno in giorno.
Dan Halter, Animal Farm Agro-Cheque, 2021, Hand-woven archival ink-jet prints, 141,5 x 76 cm, Ph. Geena Wilkinson
La storia è un altro elemento inscindibilmente connesso con la poetica di questo artista che indaga il legame tra la politica odierna del Sudafrica e quella del passato muovendo dalla citazione di William Faulkner “The past is never dead. It’s not even past” ricamata tra le bandiere sudafricane.
«Un’area che è stata e continua ad essere sfruttata dalle potenze straniere» conclude Halter. «Le conseguenze del colonialismo e la mancanza di soluzioni adeguate hanno lasciato una società profondamente divisa e fortemente diseguale: la ricchezza è concentrata nelle mani di una piccola minoranza e la povertà è diffusa.»
Ce lo ricorda Bamba Zonke (2016), che in Zulu significa “prendersi tutto”: una borsa in plastica su cui l’artista è intervenuto cucendo con una stoffa tartan il titolo dell’opera. Unendo ironicamente la fantasia scozzese al materiale povero della borsa, essa incarna una conflittualità ancora irrisolta tra chi vorrebbe “prendersi tutto” e chi in passato lo ha fatto.
Dan Halter, Bamba Zonke, 2016, Found plastic-weave bag, custom-made tartan fabric, 65 x 70 cm, Courtesy Dan Halter and Osart Gallery.
Cover story: Dan Halter, The One Hundred Trillion Dollars Social Contract, 2021, Hand-woven archival ink-jet prints, 165,4 x 89,9 cm. Courtesy Dan Halter and Osart Gallery, Ph. Geena Wilkinson
DAN HALTER | MONEY LOVES MONEY
Osart Gallery, Milano Corso Plebisciti 12 – sito – Facebook – Instagram
25 maggio – 31 luglio 2021