Si accendono le luci al neon e io non ho paura della notte che avanza. Ho attraversato di proposito il tratto vago che separa la città dalla periferia per arrivare qui, in questo groviglio ruvido di metallo e di ferro, a cercare, sempre con lo stesso accanimento, volti alieni impressi nella memoria.
La notte in cui sono stata loro ostaggio mi hanno denudata e vestita così: avvolta in linee nette e futuristiche, in geometrie essenziali colorate di verde, di rosso e di arancio, in lane morbide e cascanti sul corpo. Sebbene sentissi il sangue gelare nelle vene e il corpo che cominciava a raffreddarsi, la matematica aliena pulsava intorno al cuore. Nella tuta, vibrante di fierezza sovrumana. Nel vestito, forte di una femminilità contemporanea. Nei pantaloni, espressione di un minimalismo senza tempo. Nelle maglie, manifesto di una creatività apolide.
Ogni notte da quella notte indosso le stesse linee orizzontali e verticali e diagonali. Ogni notte da quella notte trovo il mio scudo dentro la tensione di quadrati e rettangoli e rombi. Ogni notte da quella notte vengo qui e aspetto il segnale, persuasa che il segnale sia come una goccia nel mare che il cielo lascia passare.
“Posso immaginarmi tutto, ma la voce umana che viaggia attraverso l’oceano e arriva alle mie orecchie è un vero prodigio!”
“E’ in virtù del cielo?”
“Il cielo trasmette il segnale!”
“Significa che il cielo sa?”
“Proprio così!”
(Lungo la Via Lattea, Emir Kusturica)
Abiti, Sartoria Vico F/W 16 Collection
Foto, Elisabetta Brian