«Abbiamo l’arte per non perire a causa della verità», scriveva Nietzsche in un famoso frammento del 1888. E forse abbiamo anche la moda, almeno a giudicare dalla vitalità e dall’esuberanza di poche residue esperienze, che pur nel desolante panorama contemporaneo sono ancora capaci di trasmettere forti emozioni. Una per tutte: Elle Venturini. Architetto di professione, una naturale vocazione per il design, un’abilità progettuale che nel corso degli anni ha saputo mantenere inalterati i suoi valori fondanti, variando solo discorso materico. Creazioni uniche di una designer capace di evolversi senza mai doversi piegare alla contingenza dell’effimero momentaneo.
Recentemente approdata in Cina, Elle Venturini ha portato in passerella la sua creatività in occasione della KQFW Fashion week, che si è svolta a Shaoxing, nel distretto del tessile di Keqiao, dal 6 all’11 novembre 2023. Le quasi 60 uscite hanno raccontato una lunga storia di rigore intellettuale e offerto lo spettacolo di un’estetica monolitica avulsa da un sistema che, incalzato dalla necessità di proporre, propone sempre più mutevolezza, incoerenza, bruttezza.
Vorrei cominciare la nostra conversazione chiedendoti di parlarmi di questa importante esperienza in Oriente. Che narrazione hai messo in scena? E quale accoglienza hai ricevuto?
L’invito è giunto del tutto inaspettato, alla fine di ottobre e, nonostante i tempi brevissimi per la preparazione, non mi sono tirata indietro. Per me la sfilata e, soprattutto, come evento unico di chiusura della fashion week, era una novità molto elettrizzante, ma dovevo fare i conti con i bagagli contenenti la collezione, che mi sarei dovuta portare appresso (circa 160 pezzi, tra abiti ed accessori). L’unica soluzione era semplificare gli outfit ricorrendo alla scelta di un buon numero di abiti-base su cui far girare i capi spalla e i pezzi di maggiore impatto visivo e di contenuto progettuale, con rigorosa coerenza. Praticamente, rivedere tutto con altri occhi e cercare di semplificare senza compromessi. È stato un lavoro faraonico, ma di grande personale soddisfazione. Attenzione è stata data all’ipotetico gradimento di un pubblico che non conoscevo e che si è dimostrato molto ricettivo. L’organizzazione e l’accoglienza sono state perfette e l’empatia umana ha reso leggera qualsiasi fatica.
Il tuo è un modo diverso di guardare alla moda, alla donna, all’idea di essere ben vestiti. Lontano dagli stereotipi che ruotano intorno all’abusato concetto di sensualità, i metraggi di tessuto e le costruzioni volumetriche, mentre si fanno custodi dei corpi, ridisegnano nuovi canoni di femminilità.
Purtroppo, viviamo in un mondo che si sta imbarbarendo con una velocità impressionante, manca completamente l’interesse alla cultura in generale e tutto viene veicolato in “pillole” insignificanti. Evviva le mutande, che spopolano in tutte le collezioni! Una volta, in tempi di crisi, si facevano le minigonne. Ora abbiamo accorciato pure quelle e, tra poco, sarà troppo perfino la foglia di fico. Le pieghe, per me, oltre ad essere un esercizio di geometria descrittiva, racchiudono una tridimensionalità profonda, quella dell’anima e della mente.
Il tuo approccio scultoreo all’abito, la predilezione per i tagli verticali, il fatto di creare le proporzioni sempre addosso, lavorando direttamente a manichino, riconnettono il vestire al concetto di habitat: forma di tessuto elaborata e cava da abitare. Uso di proposito il verbo abitare e non indossare, per dire di una visione – la tua – che è fortemente critica nei confronti della situazione esistente, dove a farla da padrone sono l’appiattimento culturale e l’impoverimento creativo conseguenza delle incalzanti esigenze economiche dei grandi gruppi internazionali del lusso.
Ecco il lusso, quello ostentato, super griffato, che gratifica i nuovi ricchi e li rende riconoscibili tristemente. Come a dire: se non hai, non sei. Ma la moda non deve stupire, deve donare il piacere di essere indossata nella quotidianità. Un concetto che si è completamente perso.
Questo tuo guardare a mercati altri mi riporta alla mente la riflessione di Maria Luisa Frisa, che nel suo libro Le forme della moda scriveva che il Made in Italy oggi deve essere inteso come laboratorio creativo, non come laboratorio artigianale, come un luogo privilegiato per lo sviluppo dell’inventiva. Concetto tanto più importante nell’età della delocalizzazione produttiva e della globalizzazione. È necessario spostare il focus dall’attività produttiva alla ricerca creativa: quindi pensare in Italia ma essere liberi di produrre ovunque, in Italia e nel mondo.
Concordo pienamente con l’affermazione di Frisa e sarà impossibile avere un futuro produttivo in Europa, quell’Europa che ha fatto di tutto e continua a farlo per affossare qualsiasi possibilità di produzione locale.
Concludendo, se ti dovessi chiedere quale futuro immagini per la moda cosa mi risponderesti? C’è ancora spazio per il sogno? O saremo tutti costretti a morire di verità?
Siamo sicuramente destinati a morire, ma lasciamo grandi spazi ai sogni, ai progetti e alle emozioni a qualsiasi livello. Gratifichiamoci osservando il bello, approfondendo le conoscenze storiche ed artistiche, nostri indiscutibili tesori e cerchiamo di proiettare la nostra millenaria cultura, ora messa nello sgabuzzino, verso un futuro che umanamente ci dovremmo meritare e che ovviamente costerà sacrificio, ma anche tanta soddisfazione.
________
Credits: Elle Venturini, KQFW Fashion week, Shaoxing (Cina), novembre 2023