Rarissimo esempio di costruzione zoomorfa in Europa – apparentemente la pianta sarebbe stata ispirata alla forma di uno scorpione – il Castello di Rocca Sinibalda è un monumento nazionale millenario situato nei pressi di Rieti (Italia). Esso vanta una lunga storia legata all’ospitalità di intellettuali e artisti: da Peggy Guggenheim a Gregory Corso, da Ezra Pound a Judith Malina solo per citarne alcuni. Da qualche anno, i proprietari Enrico Pozzi e Cristina Cenci vi hanno inaugurato il progetto di residenze artistiche Endecameron, traendo spunto dalla grande vicenda del Decameron: la raccolta di cento novelle scritta da Giovanni Boccaccio nel XIV secolo che narra di un gruppo di giovani – sette fanciulle e tre fanciulli – che per dieci giorni a suon di storie, riti, convivialità, buon cibo e erotismo si trattengono in una villa fuori Firenze per sfuggire alla peste nera.
©Castello Rocca Sinibalda, Artist unknown (1542), Opposing the Chaos (Victoria in clipeo scribens)
«Che cosa avviene al mondo, e dentro la villa, quando termina il Decameron, quando le storie finiscono e smettono così di tenere a bada la peste nera? Questo il pensiero che ho sempre avuto nella testa. E da qui un altro dubbio, più sottile e importante, che viene dal mio lavoro di analista: ma veramente la peste nera è fuori? O in realtà é sempre stata il convitato di pietra all’interno della villa, questa presenza silenziosa e fantasmatica eppure invasiva e riferimento costante di tutto ciò che veniva detto e fatto? In altre parole: il male è fuori o il male è già dentro, è sempre già dentro in qualche modo? Da queste riflessioni è nata l’idea di Endecameron, il giorno dopo appunto. Il giorno dopo la fine delle storie, il giorno dopo la peste nera e tutte le possibili declinazioni del giorno dopo.»
Il tema dell’Endecameron nasce anche dalla percezione del Castello come frattura tra la realtà esterna e la realtà interna. Con le sue forme architettoniche forti, potenti, intrusive a livello psicologico e a livello di vita sociale, esso stabilisce una cesura tra sé e quello che sta intorno, molto simile all’esperienza di un’isola. C’è il fuori e il dentro, la potenza delle mura e la potenza di ciò che da fuori preme e di ciò che da dentro va anche verso il fuori. Indagare questo rapporto è stato un primo, determinante, punto di partenza per articolare il progetto.
Endecameron 2018, ©Castello Rocca Sinibalda, Martapesta, The Mask of the Red Death
«C’è inoltre un aspetto soggettivo da considerare. Di mestiere io faccio l’intrusore in spazi mentali altrui e miei e questa intrusione mi porta naturalmente a chiedermi che cosa c’è dentro di me e cosa c’è dentro gli altri e quindi mi pone il problema del dentro attraverso un’altra forma. Senza trascurare un’altra questione importante, la sensazione di un universo largamente distopico. Se, qualche decennio fa, mi è parso di aver vissuto i tempi dell’utopia, da qualche anno a questa parte mi pare di star vivendo i tempi della distopia. Molte delle cose che leggo e che vengono scritte hanno a che fare con la fine del mondo. E hanno a che fare con forme varie del male che si impadroniscono del mondo.»
Endecameron 2019, ©Castello Rocca Sinibalda, Irmak Donmez, Self
All’interno delle mura del Castello, all’interno di questo spazio-isola, si innestano le storie: narrazioni iconiche, musicali, verbali, performative che si animano come fossero una sorta di variante di quelle del Decameron di Boccaccio. Per tentativi ed errori, per assemblaggi e combinatorie casuali, gli artisti provano a mettere ordine nel Chaos – che poi altro non è che una forma del male. Tendono al Kosmos, alla costruzione di un mondo ordinato, imprimendo forme provvisorie agli oggetti, creando segni fluidi. Non un gioco formale fine a sé stesso, non arte per arte, bensì un modo estetico ed artistico di ragionare sulla realtà e di darle un senso. Fedele alla sua identità di luogo del pensiero piuttosto che di luogo dedito alla nostalgia di tempi andati, alle vere o false armature, alle teste impagliate e ai gonfaloni, il Castello recupera la sua funzione originaria, quando i cortigiani inventavano forme di varia natura, poetica e musicale, e torna a essere un luogo in cui si produce sapere e conoscenza. Diventa, in sintesi, un laboratorio aperto alla riflessione dove anche chi non è artista vi partecipa attivamente.
Endecameron 2018, ©Castello Rocca Sinibalda, Biodpi & Cristiano Quagliozzi, The Cannibalic Rite
Il progetto di residenze artistiche ha preso il via nel 2018 con l’edizione ispirata al racconto dello scrittore americano Edgar Allan Poe ‘La Maschera della Morte Rossa’. E’ proseguito l’anno successivo su un pretesto di Italo Calvino per ragionare sul giorno dopo la fine delle città invisibili. Ed è diventato digital edition nel 2020 in pieno scenario pandemico strutturandosi, sotto la direzione artistica della video artista e perfomer italiana Francesca Fini, come una residenza virtuale che si svolgeva in una location reale e in cui la riflessione artistica muoveva proprio dall’identità metamorfica del Castello. Una singolare esperienza di laboratorio in cui il corpo era sempre centrale, pur non essendoci mai. O meglio, c’era solamente attraverso raffigurazioni, metafore, ombre, fantasmi, attraverso deformazioni e ricostruzioni digitali.
Endecameron 2020, ©Silvia De Gennaro, Il canto del pensiero errante, Video still
«Il corpo è un nostro molto intimo compagno di strada, in ogni momento della nostra vita. È una profonda distorsione delle nostre esistenze quella che trasforma il corpo in un oggetto terzo che dobbiamo amministrare, gestire, governare, accompagnare, curare, amare, odiare. Ed è singolare che per me il corpo abbia dovuto essere una scoperta a livello verbale, cognitivo e anche scientifico. Dopo vari anni da sociologo e psicologo sociale, e vari anni da psicanalista che ha a che fare con corpi di tutti nell’immobilità di un lettino, eppure così intensamente presenti, vivi e dinamici, ho realizzato per esempio che non esisteva una sociologia del corpo. La sociologia non s’era mai occupata del corpo e allora ho scritto molti anni fa il primo saggio italiano sul tema (‘Per una sociologia del corpo’ ndr) proprio perché venivo improvvisamente a scoprire che c’era un’area deserta, un’area rimossa da parte delle scienze sociali che guarda caso era proprio la corporeità. Da lì ho recuperato questa profonda intensità di rapporto con il corpo. Il corpo solo carne non esiste. Esso è in realtà sintesi incrociata, spesso sfuggente, di tutto: tutto ciò che abbiamo intorno, tutto ciò che accade socialmente, tutto ciò che accade nelle nostre vite personali, tutto ciò che potrebbe accadere nelle nostre vite personali e che il corpo ci ricorda che dovrebbe accadere. Il corpo è tutto questo, dunque questa ossessione del corpo è un’ossessione complessa. E’ personale ovviamente, è scientifica ovviamente, psicologica ed emotiva ovviamente. Il corpo, faticosamente, ha ritrovato il posto che non avrebbe mai dovuto smettere di avere.»
Endecameron 2020, ©VestAndPage, Sara Simeoni, Marilyn Arsem, Verena Stenke in Una per volta – Stirring, spinning, sweeping (1992/2020), Video still
Se in Endecameron 20 digital edition il corpo era di fatto assente, irraggiungibile, colpevole, deformato, in ogni caso non con significato immediato, c’era però un protagonista terzo onnipresente e potente: il Castello. Gli artisti, differenti per attitudini, esiti e approccio creativo, secondo una selezione che fin dall’inizio ha sempre voluto tenere conto della singola forma mentis di ciascuno e porre in risalto l’originalità dei percorsi individuali, avevano il compito di manipolare a diversi livelli semantici le suggestioni derivanti dalle stanze del Castello a loro assegnate. Esse diventavano a tutti gli effetti dei luoghi, non neutri ma pregni di una forte identità con la quale ogni semionauta era chiamato a confrontarsi.
Endecameron 2020, © Igor Imhoff, Installation view
La residenza, che in questo 2021 si svolge dal 31 luglio al 7 agosto (nella serata finale del 7 agosto gli artisti presentano i loro lavori a tutto il gruppo dei residenti dell’Endecameron e agli invitati), ha come tema l’Incubazione. L’incubatio è una pratica antichissima e diffusa: si dorme in un luogo considerato in qualche modo sacro e qui si attende che nel sonno e nel buio si manifestino sogni e segni sul futuro, visioni, soluzioni a problemi di vita, cure per una malattia. Ma l’incubazione è anche il momento in cui qualcosa di nuovo si produce di nascosto e nel silenzio, invisibile eppure vivo e destinato a manifestarsi: un’idea, un virus o malattia, una catastrofe o un cambiamento. Nell’Undicesimo Giorno del 2021 gli artisti lavorano sul post-pandemia e sull’incubazione di nuovi mondi possibili, ciascuno in totale libertà secondo i propri modi e linguaggi. Il Castello diventa ventre materno, luogo primario e metaforico di ogni incubazione.
Vi partecipano quest’anno gli artisti: Marianna Andrigo e Aldo Aliprandi (body perfomance), Claudia Aliotta e Fabio Imbegamo (musica), Francesco Cabras (fotografia), Mauro De Carli (multimedia), Alex Hartley (mixed media), Kris Lemsalu (mixed media e perfomance), Jacopo Mandich (scultura), Marcondiro (Marco Borrelli, musica), Monica Pennazzi (fiber art), VestandPage (video performance art).
«Per me rimane centrale il solito grande tema» conclude Enrico Pozzi. «Ma il mondo intorno, il male, quest’anno come sarà presente nella fortezza? E come riuscirà ad evitare quello che è il paradosso di ogni fortezza? Perché la fortezza apparentemente protegge e appunto perché protegge dal male, dall’esterno, dall’altro, ti uccide. Ci siamo confrontati con quest’idea anche in relazione al momento che stiamo vivendo: quanto siamo protetti e quanto, mi vien da dire, moribondi perché siamo così protetti? In altri termini, la vulnerabilità come pericolosa ma straordinaria ricchezza.»
ENDECAMERON21 INCUBATIO|INCUBAZIONE
Castello di Rocca Sinibalda (Rieti)
31 luglio – 7 agosto 2021
Siti: www.endecameron.it, www.castelloroccasinibalda.it