Che ogni cosa è qualcos’altro. O della verità della finzione. Si potrebbe tradurre anche così questo progetto multidisciplinare di Fabio Bix dal titolo “Omnia Alia Sunt” che trova nella fotografia la sua sintesi formale, nella superficie dell’immagine che restituisce una proiezione del reale liberata dal reale stesso. Accade infatti che, in pochi secondi e manipolando dei semplici fazzoletti di carta, l’autore realizzi delle statue alte circa 15 centimetri e con un gioco di prospettive, che tengono conto delle architetture e della gente sullo sfondo, ritragga dei paesaggi in cui le opere, del tutto simili a quelle greco-romane, paiono di grandi dimensioni, totalmente veritiere. Un mondo apparente dentro un mondo vero, diretta dimostrazione che oggi, con la fotografia, la distinzione tra vero e falso è arbitraria e le immagini non fanno altro che documentare l’ambiguità fluttuante del vedere.
Francesca Interlenghi: Venezia, New York, Roma, Parigi, Gerusalemme sono alcune delle città che si sono prestate a diventare palcoscenico della tua azione performativa: le hai omaggiate con la cultura classica, per definizione intrisa di bellezza e fascino a-temporali, ma al contempo, essendo le tue statue niente altro che un inganno percettivo, hai implicitamente esaltato i caratteri di precarietà e transitorietà che caratterizzano la nostra contemporaneità. E lo hai fatto utilizzando proprio la fotografia che negli ultimi quaranta-cinquant’anni, nella dialettica “grande astrazione” e “grande realismo”, ha espresso tutta la ricchezza della sua ricerca espressiva. Mi racconti un po’ la genesi di questo progetto?
Fabio Bix: Si tratta di un processo abbastanza lungo iniziato nel 2012 quando, camminando per le strade di Brescia, una foglia rossa ha catturato la mia attenzione. Aveva la forma di una bocca e con lo smartphone l’ho fotografata. Da quel momento e per un anno intero mi sono letteralmente “chinato a baciare i marciapiedi” scoprendo una cosmogonia di elementi tra i più disparati. E’ nato così il progetto dal titolo “Voloaraso – il mondo nei marciapiedi della città”: i marciapiedi, di norma calpestati e destinatari di sporco e scarti, ad uno sguardo più attento divengono sfondo, tela, trama di arazzi involontari, cartina tornasole di mondi inaspettati.
Francesca: Se quello voleva già, negli intenti, essere un cambio di prospettiva, un modo per rompere gli schemi e andare oltre un’estetica stereotipata, mosso dalla convinzione che la bellezza abiti anche nei luoghi più reconditi, possiamo dire che è con “Omnia Alia sunt” che questo processo di scardinamento trova la sua forma più matura e compiuta. E’ un tema che ritorna, insistente, in tutta la tua poetica. La dicotomica alternanza verità/finzione, espressa attraverso la fotografia, è in realtà il pretesto per un’indagine più approfondita sul grande tema dell’essere: chi siamo o chi crediamo di essere o chi ci fanno credere di essere? Allora, in cerca di risposte, hai alzato la testa verso il cielo, mi pare di poter dire.
Fabio: Dopo cinque anni trascorsi a guardare in giù ho alzato lo sguardo, l’ho rivolto dai marciapiedi al cielo, fotografando dal basso verso l’alto e giocando di prospettiva. Ho iniziato mettendo un piede fuori casa, sui marciapiedi della mia città e poi via, in giro per il mondo a guardare il cielo di tante altre città. Per prima Verona, poi Venezia e poi New York che considero il mio vero inizio. Mi stimolava il contrasto tra la verticalità e la modernità dei suoi grattacieli e la classicità delle mie statue. Fondamentale poi è stato l’apporto del video maker (Carmelo Puglisi ndr), che per la prima volta proprio a New York mi ha seguito: il video restituisce perfettamente la dimensione performativa e la componente di Street Art del mio progetto. E ancora, Roma per ovvie ragioni e Parigi per il ruolo di capitale della cultura che ha esercitato agli inizi del Novecento. Infine Gerusalemme, venuta come una folgorazione direi: terra in cui sono nate le tre principali religioni monoteiste che condizionano gli equilibri di buona parte del mondo occidentale, oltre che teatro della complessa questione israelo/palestinese. Ricorreva il trentennale dalla caduta del muro di Berlino, nei giorni in cui la mia coscienza si schiantava contro quello altissimo, incombente di separazione fra Israele e Cisgiordania. Proprio il cortocircuito fra l’accostamento dei due muri – il muro del pianto e quello di separazione fra Israele e Cisgiordania – mi ha portato a premettere il titolo di WALLS a questa tappa di Omnia Alia Sunt.
Francesca: Le tue statue di fazzoletti di carta vivono giusto il tempo della sagomatura che le tue mani danno loro e il tempo dello scatto. Fugaci e casuali, al pari della vita direi, mi riportano alla mente le parole dello sceneggiatore Albert Valentin che in “Magie blanche et noire” scrive: l’obiettivo conferisce a tutto ciò cui si avvicina un’aura di leggenda, esso trasporta tutto ciò che cade nel suo campo fuori dalla realtà.
Fabio: E’ reale ciò che credi essere reale. Noi tutti abbiamo una nostra individuale realtà che crediamo essere assoluta, ma non ci è mai possibile accedere a quello che siamo veramente. Non riusciamo a guardarci né da dentro né da fuori perciò leggiamo i fatti attraverso ciò che ci viene instillato da altri, così li introiettiamo e così si sedimentano. Ma ogni cosa può essere altre cose e allora quello che io ho fatto è stato aprirmi a prospettive altre, guardare il mondo scardinando i concetti chiusi e rompendo gli schemi.
Francesca: Dentro la valigia del tuo vagabondare non manca mai una buona dose di ironia. Come quando dici che tra i tuoi obiettivi c’è quello di diventare il più grande scultore del mondo – sebbene nel mondo non vi sarà mai nemmeno una tua scultura – o quando affermi che è più facile trovarti al bar piuttosto che in qualche galleria o ancora che ci hai messo trent’ anni a diventare bambino. Leggerezza, alla maniera di Calvino mi pare. Diceva lui che la pesantezza, l’inerzia, l’opacità del mondo sono tutte qualità che si attaccano subito alla scrittura se non si trova il modo di sfuggirle. Si attaccano anche alle statue, dico io.
Fabio: C’è una dimensione ludica che caratterizza tutto il mio lavoro, un desiderio di giocare che negli anni si è fatto più raffinato e che è il mio modo di mantenere vivo il mio spirito fanciullesco. Gioco con i fazzoletti di carta, gioco con la prospettiva, gioco a diventare il più grande scultore del mondo… Ma ironia e gioco non sono altro che mezzi per veicolare temi importanti come la dialettica tra verità e finzione, tra reale e virtuale. Che ci riguarda tutti. E ci riguarda oggi.
Desidero ringraziare per la cortese intervista Fabio Bix – web site – Facebook – Vimeo – Instagram
Il progetto “Omnia Alia Sunt” sarà in mostra a Brescia presso Ma.Co.f. – Centro della fotografia italiana dal 25 gennaio al 23 febbraio 2020. Orario 15-19. Chiuso il lunedì.
Inaugurazione venerdì 24 gennaio 2020 ore 18.30