FABRIZIO DUSI, IL SILENZIO DELLE PAROLE

E’ una efficace rappresentazione della fragilità contemporanea l’arte di Fabrizio Dusi. Della cultura dello slegame per dirla con Lacan, fatta per lo più di frammentazione e di insicurezza, di inquietudine, indifferenza e distrazione. Uno sfondo che fa cambiare il modo in cui ci rapportiamo agli altri e il modo in cui gli altri si rapportano a noi.

Nato a Sondrio nel 1974, dopo la maturità artistica si diploma come web designer ma consegue nel 2003 un ulteriore diploma presso la scuola di ceramica Cova di Milano.

“A un certo punto ho sentito che il lavoro del grafico non mi apparteneva più, che non era abbastanza creativo e allora, alla soglia dei 30 anni, ho deciso che non avrei più continuato su quella strada. Ho ricominciato da zero e mi sono iscritto a un corso di ceramica perché ero molto attratto da questo materiale, dagli smalti e dai colori ed infatti sono tutti elementi che ritornano nel mio lavoro. Nel 2005 ho inaugurato il mio laboratorio e pian piano sono partito. Diventare un artista è stato un evento graduale e naturale anche, è venuto da sé perché io non mi ero prefissato nulla.”

Scultore, ceramista e pittore, Fabrizio Dusi dal 2011 è rappresentato dalla Galleria Flora Bigai il vero salto di qualità direi, perché è stato con la galleria che è iniziato un percorso più strutturato di mostre e fiere; fino a quel momento il mio era stato un cammino un po’ più underground.”

La ceramica, unita alla sperimentazione di tecniche sempre nuove e all’utilizzo di materiali diversi come il legno, il plexiglas o il neon, è lo strumento con il quale l’artista indaga la dilagante sensazione di inadeguatezza, caratteristica del disagio postmoderno, e l’incomunicabilità che ne consegue, l’inaridirsi di quella dimensione affettiva connaturata all’uomo come essere sociale.

“Ho scelto questo personaggio che è sicuramente autobiografico, molto autoreferenziale, che io chiamo Bla Bla Bla perché emette parole che sono suoni vuoti, come parlasse senza dire niente. A volte le sue parole hanno forma di bolle, sembrano volare via verso l’alto, evaporare, proprio a significare i tanti temi del malessere contemporaneo e l’incomunicabilità principalmente. Una icona attraverso la quale io reinterpreto il mondo, un mondo in cui ci si sente spesso inadeguati, a disagio, si fa fatica a interagire. Capita a me, ma capita a molti io credo. Questo è niente altro che il mio modo di tradurre ciò che mi circonda, è il mio modo di riproporlo.”

Uomini che sono, non a caso, privi di orecchie data la loro poca propensione ad ascoltare e con la bocca sempre aperta nello sforzo vano di dire qualche cosa, ma dalla bocca non esce niente, tutt’al più qualche richiesta simbolica come Listen to Me. Uomini come isole sebbene calati nel contesto del gruppo: il gruppo di studenti, di impiegati in giacca e cravatta, la famiglia stessa diventano luoghi collettivi atti solo a evidenziare un deficit di linguaggio includente.

“Una similitudine con la pop art? Si probabilmente esiste, nella misura in cui la mia arte, di primo acchito, è accessibile e comprensibile. Cattura subito l’attenzione, vuoi forse per l’uso così deciso dei colori primari che è la mia cifra stilistica. Ma oltre questo piano di lettura immediato, che è anche molto accogliente, ce n’è uno più profondo, che sta sotto, che bisogna capire e analizzare.”

A partire dal 31 maggio prossimo la Casa della Memoria di Milano sarà teatro di un importante progetto site specific firmato da Fabrizio Dusi dal titolo Don’t kill. Le grandi vetrate che si affacciano all’esterno ospiteranno una serie di installazioni luminose mentre all’interno saranno protagoniste una serie di parole realizzate in ceramica e neon e la scritta monumentale, lunga 14 metri, “considerate se questo è un uomo… che muore per un si o per un no” issata sopra l’ingresso.

Courtesy of the artist 

“Coerentemente con il valore e il senso di questo luogo che ospiterà la mostra mi sono ispirato al tema della Shoah ma ho inteso attualizzarlo per indurre una riflessione anche sui giorni nostri, partendo proprio dal monito insito nel quinto comandamento “Non Uccidere”. Le scritte al neon, ispirate alle parole di deportati come Primo Levi o Liliana Segre, prenderanno forma dentro uno spazio inondato di rosso. A ricordare le vittime di ogni strage, di ogni terrorismo, di ogni violenza.”

Desidero ringraziare per la cortese intervista Fabrizio Dusi – web siteFacebookInstagram

La mostra Don’t Kill sarà visitabile a Milano presso Casa della Memoria dal 31 maggio al 31 agosto 2017

Foto di Nils Rossi

 

 Courtesy of the artist

 

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