Il potentissimo modello di relazione che la moda ha instaurato con il mercato, basato sull’evocazione, sull’immagine e sul sogno piuttosto che sui processi reali di produzione, è esattamente il contrario, come sottolinea Maria Luisa Frisa nel suo Le forme della moda, del messaggio che viene genericamente associato alla moda ecosostenibile, percepita come punitiva, brutta e assolutamente non glamour. Maglioni informi che si possono comprare nei mercati biologici, fatti in lana che punge da qualche comunità neo hippy che magari segue un regime alimentare rigorosamente vegano.
Sebbene il mondo della moda non si sia ancora dimostrato particolarmente sensibile al nuovo paradigma della sostenibilità, almeno rispetto ad altri settori come quello dell’alimentazione, dell’automobile o dell’energia, la necessità di fare chiarezza sul significato di moda sostenibile ha prodotto negli ultimi anni ricerche, pubblicazioni e comportamenti virtuosi degni di nota.
Tra questi sicuramente Fashion Change. Il manifesto della moda consapevole il libro edito da Connecting Cultures, l’agenzia no-profit di ricerca e produzione culturale fondata da Anna Dethridge, teorica e critica delle arti visive, che forte del suo approccio interdisciplinare promuove la sostenibilità attraverso arte, moda e design. Una pubblicazione corale che raccoglie le riflessioni della comunità di imprenditori, studiosi, tecnici, intellettuali e fashion designer raccoltisi intorno al progetto Out of Fashion, il primo corso di formazione totalmente focalizzato sulla cultura della moda consapevole. Sette capitoli che esplorano i materiali e il loro impatto ambientale, l’innovazione tecnologica del comparto tessile, la tracciabilità della filiera e il rispetto delle maestranze, l’alto artigianato e il recupero della tradizione, il rapporto tra arte e moda.
Anna Detheridge & Matteo Ward - Ph. Stefania Bonatelli
“Non si tratta di fare la morale, non si tratta di dire alla ragazza giovane che ha un budget limitato che non deve comperarsi un vestitino da Zara. Non è questa la via per parlare di sostenibilità” esordisce Anna Detheridge in occasione dell’incontro dal titolo “La moda sostenibile è il nuovo lusso?” ospitato dalla Boutique Banner di Milano lo scorso 15 Novembre.
“Credo però che gli ingenti consumi ci obblighino a un cambio di paradigma, il che significa acquisire una certa consapevolezza e cominciare a porsi delle domande. Prima tra tutte: perché ho quest’ansia di comprare? Non vuol dire non comprare più nulla ma, come sostiene la famosa trend setter olandese Lidewij Edelkoort, in maniera anche un po’ brutale, se un abito vale poco più di un preservativo è chiaro che il valore che gli attribuiamo è quello di un oggetto usa e getta. Una maglietta che costa cinque euro e che vediamo buttata per terra insieme a tante altre magliette non può far bene a nessuno ed è ovviamente difficile che quella maglietta non abbia sfruttato qualcuno o che sia stata realizzata in condizioni salubri. Non si può ridurre la questione al fatto che il capo in cotone organico va bene e il vestitino in materiale sintetico non va bene. La storia è molto più complessa! Proprio per questo è indispensabile finanziare la ricerca e forse le grandi aziende che realizzano grandi guadagni invece di spendere una enorme fetta del loro budget in comunicazione potrebbero investire parte del loro denaro per trovare prodotti biodegradabili e forme derivate dal petrolio che non inquinino sempre di più i nostri mari; senza contare che l’80% di quello che consumiamo in maniera così rapida finisce poi nelle discariche. C’è ancora molto lavoro da fare sia sul fronte dell’industria che sul fronte della formazione dei designer e di chi acquista. E’ un mondo che deve ancora realmente nascere.”
Il libro Fashion Change propone un’ indagine a 360° su un settore della moda che è altro rispetto al fashion system e vuole raccontare senza ipocrisia la complessità della moda sostenibile.
“Non è un settore facile e non ci sono soluzioni facili per questioni complesse. Il libro voleva essere una testimonianza corale della necessità di una cultura e di una consapevolezza che una volta acquisite possono spingere all’attivazione di un cambiamento” spiega la giornalista Paola Baronio, co-autrice di Fashion Change e Communication Manager di Connecting Cultures.
“Questa è una associazione che da sempre si occupa di arti visive e che quindi ha uno stretto rapporto con l’immagine, la bellezza e l’arte. Volevamo che fosse un libro bello, che desse tante informazioni ma che lo facesse anche attraverso le immagini. E non è stato facile trovarle perché attualmente, ed è questo un aspetto molto interessante per la comunicazione di cui mi occupo, non esiste un immaginario della moda sostenibile. Se è vero che chiudendo gli occhi subito ci arrivano le centomila suggestioni di cui è popolato il mondo della moda è altrettanto vero che quando uno chiude gli occhi e pensa alla moda sostenibile nella migliore delle ipotesi gli vengono in mente solo immagini pauperistiche. Abbiamo perciò deciso di fare deliberatamente una doppia narrazione, un percorso attraverso due strade in cui le fotografie danno la possibilità di guardare oltre, di vedere la bellezza dove non te l’aspetti. E lo abbiamo fatto ispirandoci al mondo dell’arte, proprio per il suo essere catalizzatore di cambiamenti, facendo leva sull’emozione e sulla fascinazione che l’arte suscita.”
Una comunicazione, quella della moda sostenibile, che è assolutamente sfidante e che deve vincere resistenze, immagini distorte, luoghi comuni.
“Siamo in contesto di poca chiarezza e confusione sui termini” prosegue Paola Baronio facendo riferimento ad uno dei capitoli da lei redatti “La comunicazione della moda consapevole”.
“Abbiamo allora pensato di usare il termine consapevolezza al quale siamo approdati grazie all’esperienza di Out of Fashion. E’ questa la nostra parole chiave che dovrebbe portare ad una assunzione di responsabilità. Dal punto di vista della comunicazione potremmo ispirarci a quello che è stato fatto nel movimento slow food con Carlo Petrini. Se quel movimento è buono, giusto e pulito, allo stesso modo potremmo dire che la nostra moda è bella, giusta e pulita. Abbiamo raccontato casi virtuosi come quello di Patagonia, Brunello Cucinelli o Stella Jean, raccontato i loro sogni perché un capo di moda sostenibile, contrariamente a un capo di fast fashion la cui ragione d’essere sta tutta in un cartellino che porta l’indicazione brevissima del prezzo, ha una sua storia fatta di persone, di lavorazioni, di territori, di ispirazione. L’imprenditore di moda sostenibile, rispetto a quello tradizionale, vuole cambiare il sistema, non si accontenta di fare cose belle e venderle bene ma vuole migliorare il posto in cui sta, vuole lasciare un segno etico, come persona, come essere umano. Questo è un valore enorme che va premiato e che la comunicazione deve valorizzare.”
Il cammino verso la consapevolezza passa anche attraverso esperienze nuove che parlano il linguaggio della contaminazione come The Gallery at Connecting Cultures, un nuovo concetto di galleria d’arte a sostegno dell’associazione inaugurata la scorso 23 Novembre. In mostra sette artisti che attraverso sculture e fotografie raccontano il loro approccio al territorio, al paesaggio, alla comunità.
“Una collettiva che è profondamente legata a noi e alla nostra storia e che raccoglie le opere di artisti che hanno dialogato negli anni con la nostra agenzia e che si occupano di temi per noi importanti: spazio pubblico, bene comune, sostenibilità a livello ambientale e sociale” racconta Chiara Lattuada, Project Manager di Connecting Cultures e responsabile del corso di formazione Out of Fashion.
“L’occasione era anche quella di inaugurare la nuova sede di Via Novi 2 dove ci siamo trasferiti da pochissimo. Una zona che ci è particolarmente cara perché qui, grazie a Fondazione Cariplo, abbiamo realizzato il progetto triennale DENCITY che ci ha permesso di indagare il territorio Solari – Savona – Tortona e di fare progetti sia artistici che legati alla moda. E proprio qui è nato Out of Fashion con il sostegno fondamentale di Fondazione Ferrè che ha ospitato i corsi e di Cna.”
La sfida sostenibile ci riguarda ormai tutti e riguarda tutta la catena del valore della filiera: dal design alla scelta delle materie prime, dall’innovazione alla comunicazione fino all’educazione del consumatore stesso. Questa articolata testimonianza ci dimostra che la sostenibilità è una via percorribile e ci invita a riflettere sul fatto che, molto probabilmente, è sempre più una necessità.
Desidero ringraziare per il tempo di questo approfondimento Paola Baronio e Chiara Lattuada e tutto lo staff di Connecting Cultures – web site – Facebook – Instagram
Crediti:
Foto Lorella Usai
Io indosso abiti Elle Venturini, orecchini MORPHḖ LONDON