Lontano dalle insidie di questo presente veloce e minaccioso c’è uno spazio in cui la moda appartiene al tempo della vita e delle relazioni umane, alle cose di cui dovrebbe essere piena la giornata. Uno spazio complesso, lo spazio dell’etica, in cui ogni pensiero e ogni azione tracciano strade secondarie selciate con bottoni di legno tondeggianti, lastricate di fili di lana che la pioggia fa luccicare, popolate di forme che si portano dentro la storia delle mani.
Quando le mani toccano il tessuto, si parte da lì, da una sensazione tattile che sollecita un viaggio a ritroso nel tempo: cinquecento anni fa, il sud della Cina, una tecnica di lavorazione antica che richiede impegno e dedizione, fino a novanta lavaggi per ottenere un tessuto che ha la stessa resa della pelle ma è 100% seta. Continua il suo percorso all’insegna della sostenibilità e della responsabilità la visionaria Kavita Parmar, fondatrice e direttore creativo di The IOU Project, il brand di abbigliamento spagnolo che nella ricchezza della tradizione artigiana trova il proprio valore fondante.
“Per la nuova collezione FW/18-19 ho utilizzato questo tessuto che mi riporta con la memoria a come le cose venivano fatte una volta. Completamente organico, nessun procedimento chimico, settimane, mesi addirittura di lavoro per ottenere questo risultato che tutti scambiano per pelle, ma non lo è. E’ importante per me capire come si lavorava un tempo e raccontarlo oggi attraverso gli abiti.”
Gli elementi tradizionali del guardaroba, le giacche come i pantaloni, le camicie e i cappotti, sono tutti realizzati con materiali naturali e con la cura che si dedica alle cose che si amano e che sono destinate ad accompagnarci nel tempo.
Allo stesso modo anche i copricapi di Ana Lamata, autentiche opere d’arte da indossare, dicono del carattere tutt’altro che fuggevole di un lavoro appreso con pazienza alla corte di Mrs. Rose Cory, la modista di Sua Maestà la Regina Elisabetta. Tessuti importanti e manifattura che non ha eguali per questi pezzi unici fatti su misura: la bombetta, il turbante, il più tradizionale canotier o il cappello afgano “karakul style” realizzato in lana pregiata anziché in astrakan.
“Ogni creazione richiede tantissime ore di lavoro, non solo il tempo per cucire ma anche quello per l’applicazione dei diversi strati di tessuto che rendono questi cappelli confortevoli e caldi d’inverno. E la cosa che mi piace di più è che possono essere indossati tanto dalle donne quanto dagli uomini, indifferentemente perché sono donanti per entrambi. Questa è la direzione nella quale desidero muovermi, verso un gusto no gender.”
Le mani danno forma anche agli occhiali di pelle di Norriss Glasses. Le mani manipolano, tagliano, assemblano con sapienza artigiana un materiale che abitualmente non trova impiego nel campo dell’ottica con l’obiettivo di creare qualcosa di nuovo, di renderlo affascinante, di dare spazio e colore alla propria unicità abbinando tradizione a innovazione.
“Questo mio progetto nasce dalla volontà di impiegare in maniera diversa la pelle perché penso che applicata al mondo degli occhiali dia risultati di gran lunga migliori rispetto alla plastica. Totalmente fatti a mano, mi servono anche due o tre giorni per realizzarne un paio ma la cosa bella è vedere come possano essere adattati e personalizzati secondo la fisionomia di ciascuno.”
Le mani, penso, sono come i predicatori più persuasivi se tra le dita freme il mondo. Se perseguono con tutta la loro forza vitale lo scopo di dare forma alla bellezza. E all’amore.
Foto di Elisabetta Brian
Io indosso Elle Venturini 2033 collection