Provo oggi, che festeggio il primo anno di vita di The Dummy’s Tales, a fermarmi un attimo per guardare indietro, per guardare alle cose che ho fatto. E’ stato impegnativo arrivare fin qui non lo nascondo, soprattutto considerando gli irrisori mezzi a disposizione. Un lavoro che non ha voluto cedere alle difficoltà, alle porte sbattute in faccia, alle risate di certi uffici stampa, all’indifferenza di presunti amici, alla consapevolezza di non avere strumenti abbastanza. Un lavoro che è andato avanti grazie e soprattutto all’abnegazione delle persone che insieme a me hanno creduto in questo percorso di libertà e creatività. Tante volte sono stati loro, tutti loro con i loro modi diversi, chi una parola, chi uno sguardo, chi una intuizione a far si che non mi lasciassi sopraffarre dallo sconforto, da quella convinzione alienante di non avere i numeri per poter proseguire. Sono stati Valentina Marchetti, Nils Rossi, Chris Alborghetti, Pasquale Russo e Francesca Galantino. In tempi diversi, in modi diversi, con abilità diverse. Eppure loro. Un lavoro difficile ma stimolante, pieno di tutta la mia limitatezza, la mia finitudine anche, eppure pieno di me. Del mio carattere, del mio sentire, della mia autenticità. Del mio modo di osservare, del mio modo assolutamente opinabile di restituire l’osservato in forma di prosa. Un lavoro che non è quasi mai andato d’accordo con quell’idea di perfezione che non smette, a torto, di girarmi per la testa. Tutt’altro. Imperfette le foto, perfettibile la scrittura, migliorabile tutta la struttura d’insieme. Però sono felice di aver dato una forma, nei miei intenti estetica, alle mie emozioni, alle mie fantasie, alle persone incontrate lungo questo cammino che è stato per tanti versi sorprendente. La sorpresa, innanzitutto, di aver scoperto, indagando la mia personalissima idea di moda, di essere davvero poco sintonica con il linguaggio corrente della moda. Non so parlare la sua lingua. E ho la consapevolezza di non poterla imparare. Nell’essere così prepotentemente aderente a me stessa anche nel modo di vestire, ho scoperto di risultare, per dirla con un termine che detesto, del tutto fuori moda. Ho scoperto che le foto scattate, radunate tutte in una categoria “images” che di fashion non ha nulla, sono niente altro che i miei sogni vestiti. Sogni che via via prendevano forma dentro i miei abiti, quelli indossati e quelli amati, quelli cercati e quelli rubati in qualche armadio. Quelli costruiti insieme ai maestri della scuola belga che hanno affinato la mia sensibilità. E allo stesso modo quelli di mio nonno, che prima rammendavo e poi tagliavo e adattavo al mio corpo. Eppure miei, radicati nel mio gusto. E da lì, dalla mia personalità, non si sono mai scostati se non quando si sforzavano di tradurre un’immagine onirica in un’immagine fotografica. Ho scoperto di provare un naturale quanto travolgente trasporto per le persone e per le loro storie. Le ho avvicinate sempre con mal celata timidezza e profonda consapevolezza del mio essere piccola a cospetto dell’altro. Ho sempre cercato di portare rispetto per le parole altrui, per quelle di tutti, facendo della loro meraviglia un racconto. Con la stessa gratitudine e la stessa curiosità ho ascoltato attori di teatro e pittori, video artisti e artisti di strada, cantanti e scrittori, uomini e donne. E sempre un pezzo della loro ricchezza è rimasto dentro di me, un pezzo del loro mondo si è come annidato nel mio. La loro bellezza è servita per dare luce nuova alle cose e andare avanti dritta per la mia strada. In questo anno lungo e faticoso, fatto di pianti e risate, di notti a scrivere e giorni a correre, ho avuto l’immensa opportunità di ridisegnare il perimetro del mio pensiero. Che oggi, probabilmente, è un pò meno finito. Se tra un anno sarò ancora qui a scrivere vorrà dire che in qualche modo avrò fatto la cosa giusta. Per me. Per quell’idea di libertà che sempre mi è stata negata. Libertà di perdermi e trovarmi, ancora perdermi e ancora ritrovarmi e così sempre, potendo sperimentare la mia grandezza e la mia miseria con lo stesso identico sentimento di accettazione, la mia peculiarità e la mia mediocrità con lo stesso identico sentimento di comprensione. Amandomi e accogliendomi in questo spazio nato per tracciare me. In questo spazio che è me.
Foto di Nils Rossi