Quello di Peter Kohl (Austria, 1971) è un mondo denso, intenso, intriso di figure, visioni e apparizioni legate a un’atmosfera immaginaria, popolata di personaggi onirici, magici, folli che producono come un senso di estraniazione dal reale. Il suo linguaggio apparentemente casuale, fatto di aggregazioni e ibridazioni, la sua predilezione per il disegno dal tratto infantile, lo scarabocchio, la riproduzione di lettere dell’alfabeto – tutti elementi che si fondono in un’unica opera e in un’unica affermazione coesiva – sembrano essere il frutto di un incontro poetico con la sua sublime innocenza. Con la sua sensibilità spontanea capace di produrre un flusso, altrettanto spontaneo, di immagini.
Nonostante le sue rappresentazioni siano declinate in chiave elementare, le sue opere toccano una moltitudine di argomenti e affrontano i grandi temi in maniera accessibile: dramma, ironia, umanità, sbocciano tutti da un singolo tocco, da una mano di colore o da un pezzo di testo. Ci sono allusioni alla società, alla storia, ai fumetti, al mondo animale, alla vita e alla morte e sono tutti elementi organizzati in composizioni apparentemente disorganizzate, caratterizzate dalla presenza dominante della figura umana contestualizzata in un affollamento di immagini, frasi, ripetizioni, segni e cromie. L’elemento pittorico combina la grande libertà del gesto con l’istinto per una composizione eloquente.
L’uso della parola non rivela qui l’intenzione, tipica delle Seconde Avanguardie, di porsi in una zona di confine tra testo e immagine. I brevi poemi smontati, smembrati e poi riassemblati, che danno vita a delle specie di collage, non sono rivelatori di una volontà che aspira a indagare la relazione tra linguaggio e immagine. Quanto piuttosto mostrano un utilizzo, anche della parola, in chiave onirica, come se la scrittura avesse funzione di sospendere il reale per inserire l’opera nel territorio dell’immaginario e del surreale. I suoi testi non sono soltanto parole-immagine, parole-frammento o un linguaggio segreto: sono presenze di parole, tracce visibili di un’invisibile immagine oscura.
Nel corpus di opere dell’artista, intrise di bellezza fragile ed effimera, di pulsioni dal basso, pervase da una profonda quanto cinica mancanza di fede nei valori e nelle strutture sociali, irriverenti e irresistibili, esuberanti e grottesche, il tema dell’arte si incontra e si confonde con il nonsenso del vivere.
Kohl non si stanca di guardare ciò che gli sta intorno per indagare l’uomo e la natura dell’uomo in una continua tensione verso la scoperta di mondi nuovi, di visioni parallele, apparentemente distanti eppure presenti. La sua è l’ambiziosa volontà di dipingere la commedia umana, tra ironia e amarezza, assurdità e stravaganza, in forma di narrazione cosmica, polisemica e aperta all’interpretazione. Aperta alla fantasia e all’immaginazione.
Una pratica che si potrebbe definire sia creativa che reattiva, poiché mostra il suo interesse a portare avanti tanto l’auto espressione di sé quanto la critica. L’equità, la giustizia, il bene pubblico, la società giusta sono concetti ancora significativi e per i quali vale ancora la pena darsi da fare? Gli artisti possono avere un ruolo in tal senso? Se è vero che il problema della nostra società è che ha cessato di mettersi in discussione e che la proclamazione della morte delle “grandi narrazioni” preannuncia il grande rifiuto della vocazione intellettuale moderna, é vero anche che agli artisti dovrebbero riappropriarsi del ruolo di creatori di cultura, di insegnanti oltre che di difensori dei valori. Pensare all’arte come strumento che possa contribuire a cambiare il mondo, come leva che possa innalzare lo spirito, sarebbe forse un efficace rimedio contro una società che ha smesso di interrogarsi su sé stessa.
Prendendo a prestito le parole di Italo Calvino si potrebbe concludere dicendo che c’è una leggerezza pensosa che attraversa tutto il lavoro di Kohl. Le sue creature per metà umane e per metà animali, colorate e inventate, innaturali e comiche, celano dentro e dietro la superficie della loro apparenza l’amara constatazione della ineluttabile pesantezza dell’esistenza. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna: qualità con cui è fatta quest’arte che appartiene a un altro universo da quello del vivere.
Peter Kohl, web site | Facebook | Instagram | per un approfondimento (in lingua tedesca): Stayinart
Fonti:
Italo Calvino, Lezioni americane, Leggerezza, Mondadori, Milano, 2017 – Ristampa
Zygmut Bauman, La scoietà individualizzata, il Mulino, Bologna, 2002