Lo sai che ti pensavo proprio adesso? Adesso, adesso in questo istante in cui mi hai scritto. Sono in treno, di nuovo in viaggio. E guardo fuori dal finestrino dell’alta velocità, la nebbia mischiarsi ai prati come di cristallo. Dentro il ghiaccio gli alberi immobili, spezzati dal freddo. Chissà se sono lacrime o pioggia, penso. Ho paura si, molta paura. Sento il tempo rotolare a grandi passi e vorrei rotolare anche io via con lui. Senza fare rumore. Silenziosa come sono arrivata. Piove da tanto, tanto tempo. Così tanto che me ne sono dimenticata oramai. Ti porto in dono la mia vulnerabilità consapevole che non e’ nemmeno questo gran dono. Ma e’ più o meno tutto quel che ho. Tutto quel che so. Ti abbraccio.
(Francesca)
Di nuovo in viaggio. Il mondo da dietro questo finestrino, non lo so più. Ora non so più. Ora mi è tutto mescolato come il tempo fa con le stagioni. Gli occhi guardan tutto e niente come vuoti, come sazi, come incerti, come passi sulle braci. Suo il filo che reggo confuso. Sue le bianche vele. Sue pure quelle nere. Ieri mi hanno chiesto quel che mi piacerebbe fare. Che sognare. Tutte cose belle da dire e maturare. Vivere d’arte per l’arte e lavorare. Vorrei esser così forte da andare per tornare, capisci? Avere la forza d’andare. Per tornare a dov’è libero scegliere.
(Demian)
Ancora in viaggio. Gli occhi fissi dentro le immagini di “Atlantic” di Sam Taylor-Wood. C’è una coppia seduta, ferma immobile, al centro di un ristorante che pare rumoroso. Si stanno lasciando, lei così triste. Capisco che la dimensione duale racchiude sempre una verità più complessa. Il dialogo tra le parti comporta inevitabilmente la rottura dell’unità, un porsi in cammino tra esperienze contrastanti. Parlare significa dissolvere la distanza tra le persone e io cerco di farlo il meno possibile. Per questo scrivo. Così ti scrivo, guardando la vita da dietro questo finestrino. Seppur in qualche modo vicini, anche quest’uomo e questa donna, cristallizzati nello spazio della mia solitudine, sono agli antipodi. Sembrano alla ricerca di una presenza insieme e di una co-appartenenza che si rivela poi sempre dolorosamente fittizia. Il mutuo appartenersi è solo parte di una scena che mantiene insieme dei corpi: tu, io, noi, loro, tutti. Anche se poi questi corpi non hanno nulla a che fare tra loro. Nel lavoro di Sam Taylor-Wood la donna piange e l’uomo si vede solo attraverso il gioco delle sue mani. Mi sono percepita proprio così, dentro quella scena. Proprio mentre mi guardavo in fondo alle mani. E intanto ti scrivevo.
(Francesca)
Di nuovo in viaggio, finalmente domani ci vedremo. Spero che questi pochi giorni ti siano stati d’aiuto, ti abbiano un po’ sollevata. Non è così lo so, ma la speranza idrata i cuori appassiti. Ti stavo scrivendo. Ho scritto grazie per le cose. Per come ogni giorno mi incoraggi a sentirle. La tua pelle, sottile al mondo, mi fa amare le cose trasparenti.
(Demian)
Di nuovo in viaggio. Sorrido mentre leggo una delle tue ultime lettere e penso a quanto vorrei saper ubriacarmi anche io di spensieratezza.Uscire da questa sintassi complessa che mi sono costruita dentro e andare via. Tra le nuvole mi basterebbe. Invece mi accontento di guardare fuori da questo finestrino. E di sognare Parigi. E di vivere di riflesso la tua di pienezza. La levigatezza dei tuoi dossi quotidiani mentre ti immagino andare lì dove ti ho detto, in cerca di libri a Rue de la Parcheminerie. Mi accontento di sentire, seppur lontana, la tua voce. E tutte le voci. Di riflesso, un riflesso. Di vita, di amore.
(Francesca)
Giorni immobili. Al largo. In mare aperto. Giorni di radicale vulnerabilità. Giorni senza un finestrino da cui poter guardare il mondo scorrere veloce. Giorni senza scriverti. Per scrivere di questo tempo ancora non son pronto. Allora penso ai suoni che dilagano, suoni che spaziano, suoni che straziano il vuoto. Vuoto pieno, vuoto che attende, parole, giochi, voglie primordiali e la cornacchia gracchia le sue lettere, tra l’asfalto e il cielo non v’è più molta differenza.
(Demian)
arrampicarsi nell’oscurità
balbettare nell’oscurità
scintillare nell’oscurità
ondeggiare nell’oscurità
pregare nell’oscurità
essere nell’oscurità soli
soltanto essere
un’ombra
ombra di Buddha
ombra di un uomo
ombra di un sogno
ombra di un raggio
ombra di un testo sacro
ombra dell’aria
ombra di uno sguardo
poi
salito sul tetto
con un soffio
scattare una foto
(Wang Meng, Pensieri vaganti nel Tibet)
Fai questo esercizio nei prossimi giorni. Dentro l’oscurità, sii come un’ombra. Poi scatta una foto, con un soffio. E portamela appena ce l’hai. Io sarò qui ad aspettarti. Dietro questo finestrino. Dietro il mondo. Dietro me.
(Francesca)
Foto di Giorgio Finadri – Facebook