LIVIO MOIANA, SHAPES OF FREEDOM

Corpi che incontrano la compiutezza della forma. Ritratti da uno sguardo immerso nello sforzo di vedere attraverso. Corpi che nella dialettica buio-luce emergono in un fluire di linee. Linee dapprima invisibili e immateriali che si svelano, svelando le proprietà dell’umano. Sono corpi. Sono linee. Sono curve. Sono angoli. Sono libertà. Sono Shapes of freedom, le forme che prendono vita negli scatti del fotografo Livio Moiana.

“Un progetto che è nato un po’ per caso, un giorno in cui stavo fotografando una ragazza e mi ha colpito un particolare del suo ventre e la luce che risaltando le pieghe della pelle le faceva assomigliare a onde in quella porzione di corpo. Ho iniziato così, affascinato da quel particolare, un percorso che poi è durato per anni. E si è evoluto. Dagli esordi pieni di errori nelle geometrie, nelle simmetrie, nella trascuratezza dei particolari, è diventato studio, analisi, progettazione a tavolino della posa, attenzione estremamente pignola. Alla ricerca di una composizione che sia sempre equilibrata, un’armonia generata dall’equilibrio di luce, forma e dettaglio. Un progetto che è diventato anche sperimentazione, che non si è fermato solamente al corpo femminile ma poi si è interessato anche del corpo maschile e infine della coppia intesa non solo come intreccio delle linee di due corpi ma come unione di energia.”

Un rapporto con la fotografia nato anch’esso un po’ per caso, non da certa passione radicata in gioventù. Dal papà di un amico titolare di un negozio di fotografia che mette un po’ di curiosità e dall’idea di frequentare lo IED a Milano subendo più la fascinazione di un ambiente multiculturale e ricco di stimoli, l’entusiasmo di poter viaggiare facendo magari il fotografo di moda, pur nella totale inconsapevolezza di quello che significasse. Perché l’amore per i viaggi era dentro da sempre, fin da quando, appena quindicenne, la libertà l’aveva vissuta per le strade della California, a Santa Rosa.

Una volta mia mamma mi scrisse questa frase bellissima: come faccio a farvi volare se non vi do le ali per farlo? Da lei, dai miei genitori, ho imparato la libertà. Loro che hanno sempre rispettato le mie scelte e anzi le hanno sempre supportate.

Libertà anche nell’intraprendere una strada alternativa che non contemplasse, finita la scuola, di lavorare come assistente nello studio di qualche fotografo già affermato. Subito da solo, sbagliando anche, inciampando in lavori fatti male, con una attrezzatura che a pensarci adesso non era degna nemmeno di un foto amatore.

“Il 1993 segna una tappa importante nel mio percorso di formazione. Avevo 22 anni e mi sono trasferito a Miami convinto che una volta arrivato lì sarebbe stato facile trovare lavoro. Ma dopo 10 giorni avevo già finito i soldi e allora pur di rimanere, provando a cavarmela da solo, ho iniziato a centellinare il poco rimasto, risparmiando sul cibo con grande fatica, mangiando poco e niente, la sera solo una scatola di carote e piselli. A un certo punto, un giorno che non riuscivo a stare nemmeno più in piedi, ho preso in un supermercato un pezzo di formaggio e mi ricordo che l’ho mangiato a morsi dalla fame che avevo. Dopo un po’, a forza di cercare e cercare, di propormi e propormi ancora, ho avuto la fortuna, tramite l’agenzia Image, di fare un lavoro per il locale di Micky Rourke e ho iniziato così a guadagnare qualcosa. Da lì è stato tutto più facile, Mickey Rourke era all’apice del suo successo e  io sono rimasto a Miami per 5 mesi.”

Di ritorno in Italia prosegue il lavoro fotografico nell’ambito della moda ancora per qualche anno fino a quando sente di voler sperimentare qualcosa di diverso, cercare altri stimoli perché “la fotografia per me è emozione e nel mondo della moda a un certo punto non mi ci sono più ritrovato. Una cosa mia, che sentivo dentro, che non vuol essere una critica, ed è il motivo che mi ha portato a misurarmi con il ritratto.” Nascono così le immagini del celebre ciclista Claudio Chiappucci e quelle di un giovanissimo Andrea Meneghin e di lì a poco la fortunata collaborazione, in qualità di fotografo ufficiale, con Radio Capital allora capitanata da Claudio Cecchetto.

“Dalla moda al ritratto uno sguardo completamente diverso. Nella moda bisogna costruire. Nel ritratto bisogna raccontare, devi raccontare le persone, cercando di ascoltare più che parlare, evitando fin da subito elementi di disturbo, che possano mettere a disagio, avendo tatto. Nel ritratto devi capire quello che persone hanno dentro cercando di mostrarti per quello che sei, senza fingere, senza sovrastrutture. Con discrezione, come la mia luce, che si fa vedere ma è discreta, accompagna ma non invade. Allo stesso modo mio.” 

Nella mente i corpi ritratti da Herb Ritts, per la sua abilità nel rendere manifesta la parte nascosta dei soggetti fotografati e per la sua ironia, perché su tutto bisognerebbe imparare a sorridere, forse non è necessario prendersi sempre troppo sul serio dice. E l’insegnamento del grande regista Sergio Leone per l’incredibile attenzione ai dettagli, alle minime cose, per quelle sue foto cinematografiche che erano capolavori di perfezione.

La fotografia per me? E’ il mio modo per lasciar uscire quello che ho dentro, è il modo in cui mi esprimo. Ma ho dovuto e voluto guardare il mondo per potermi esprimere così. Come un bambino curioso mi sono nutrito del mondo, della conoscenza del mondo, con la mente aperta, sempre pronta a imparare, a ricevere. Perché più siamo disposti ad accogliere più siamo capaci ad esprimere.

“E, parlando di mondo, sogno che questo progetto Shapes of Freedom lo giri il mondo, che viaggi, che si faccia conoscere. Che sia libertà assoluta, libertà di corpi senza volto e senza titolo, nell’interpretazione altrettanto libera di chi si ferma ad osservarli.”

Desidero ringraziare per la cortese intervista Livio Moiana www.liviomoiana.it – Facebook – Instagram

 

 

 

 

 

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