Tre giorni di incontri, workshop, seminari, sfilate, spettacoli e mostre, oltre a un concorso dedicato ai giovani stilisti emergenti. Svoltasi in un’atmosfera esaltante per ritmi e creatività, la quarta edizione del Barolo Fashion Show è stata la risultante di un progetto ambizioso che, sottraendosi alle usuali rotte del fashion system, intende valorizzare la moda e il suo ruolo di catalizzatore e traduttore degli impulsi che attraversano la contemporaneità. Una galassia complessa, un sistema composto da oggetti, prodotti, immagini e servizi, nel quale si possono intrecciare e confondere le fasi dell’ideazione, della progettazione, del mercato e del consumo. Un evento che intende al contempo valorizzare anche il concetto di Made in Italy ripensandolo in una prospettiva globale. Non è più solo vestire, mangiare, abitare italiano: bisogna invece rafforzare le nozioni di creatività, immaginazione, versatilità. Il Made in Italy oggi deve essere inteso come laboratorio creativo, non tanto e non solo come laboratorio artigianale. Piuttosto come un luogo privilegiato per lo sviluppo dell’inventiva. Concetto tanto più importante nell’era della delocalizzazione produttiva e della globalizzazione.
E’ necessario spostare il fuoco dall’attività produttiva alla ricerca creativa: quindi pensare in Italia ma essere liberi di produrre ovunque, in Italia e nel mondo. Lasciando una certa immagine pittoresca del nostro Paese solo ad uso turistico come bene scrive Maria Luisa Frisa nel suo “Le Forme della Moda”.
Alla luce di queste considerazioni, il direttivo del Festival ha rinnovato e potenziato la collaborazione con il partner cinese ANGI (Associazione Nuova generazione Italo-Cinese) mettendo a disposizione dei vincitori del Fashion Contest sia stage nelle aziende del Wenzhou Fashion District, sia la presentazione dei progetti a Fondi di Investimento che collaborazioni con l’Università di Wenzhou.
Ma questa non è stata l’unica novità dell’evento. Il Progetto “Cicatrici – I Segni della Vita”, inaugurato proprio in questa edizione, ha portato in scena storie non ordinarie di persone straordinarie. Storie di violenza, di abusi, di sofferenza che hanno lasciato cicatrici ma che proprio da quelle cicatrici hanno trovato lo slancio per intraprendere nuovi percorsi basati su un desiderio di riscatto e rinascita.
Tra le protagoniste di questo progetto anche Mihaela Slav, fondatrice del brand di accessori D-ECOnstructionLAB, che ha raccontato la sua esperienza di vittima di stalking e che con la sua nuova collezione Scars ha sfilato in passerella accompagnando gli abiti realizzati dalla giovane designer torinese Giulia Soldà per Maatroom.
Un connubio non casuale che si sposa tanto negli intenti quanto nella resa. Una silhouette radicalmente ancorata ai propri fondamenti estetici, all’idea di una donna capace di interpretare e fare proprie le diverse sollecitazioni che caratterizzano il tempo presente. Una moda rigorosa, coerente con sé stessa, che si muove oltre gli elementi della mutevolezza e della precarietà. Non si tratta semplicemente di progettare vestiti e accessori quanto piuttosto di ri-pensare atteggiamenti e modelli di comportamento attraverso un linguaggio di stampo narrativo sempre fedele alla propria grammatica: un moderno look androgino che libera la donna dalle costrizioni formali imposte dalla tradizione. L’elogio del nero, la dicotomica alternanza con il bianco, il minimalismo e lo studio dei volumi – con il guardaroba sartoriale che viene smantellato e poi ricostruito cambiandone le regole di portabilità – sono tutti elementi che elevano sia l’abito che l’accessorio da oggetto a status. La continua dialettica tra apparire e essere viene qui risolta con una piena coincidenza, una relazione indissolubile che non fa che sublimare l’atto quotidiano del vestirsi.
Abiti Maatroom, web site – Facebook – Instagram
Accessori D-ECOnstructionLAB, Facebook – Instagram
Foto di Alberto Nidola
Performer (oltre a me) Giovanna Gambino
Mua AIEM