Metallici bagliori e nostalgia di un imperfetto. Un filo teso intorno all’essere, che non è separato da esso. Capace di trasformarsi e di abitare forme frastagliate. Una ispirazione all’esistenza che sfugge a chi non vuole vederla ma non tradisce in tutto ciò che promette.
Fin da giovanissimo in contatto con il mondo della sartoria e del commercio legato alla moda, Matteo Thiela inizia il proprio percorso creativo agli inizi degli anni ’90 suscitando subito grande interesse con 10 vestiti B/N/B. Vive per un periodo in Germania dove collabora con William Forsythe e il Frankfurt Ballet e lavora successivamente con Carla Sozzani che lo vuole come responsabile della collezione NN e della linea sartoriale OZEN. Seguono nel tempo diverse collaborazioni importanti con nomi quali Loro Piana, Ter et Bantine, Carlo Tivoli, Krizia, Agnona per una hand bag collection di alto profilo e Mattioli per una edizione limitata di gioielli.
“6 anni fa ho iniziato a presentare un mio progetto personale, una collezione realizzata con fili di seta che venivano cuciti, che nel tempo si è evoluto e mi ha portato a fare sperimentazioni diverse fino a riuscire ad ottenere il prodotto morbido, elastico, indossabile di oggi. Uso soltanto filati che creo con una macchina 3D da me brevettata e una tecnica che all’inizio ho denominato Bombyx dal termine greco che indica il bacco da seta. Perché mi passano tra le mani i fili e con questi io compongo un bozzolo al quale posso poi dare la forma che voglio. Un concetto del tutto nuovo che non è né maglieria, né tessuto, bensì sartoria e che lascia ampio spazio all’immaginazione permettendomi di costruire qualunque capo di abbigliamento.”
Una sensibilità artistica che guarda alla moda come a un fatto culturale, un pensiero eclettico che asseconda l’urgenza di riappropriarsi di forme umane, una forma lieve eppure austera di donna. Risalendo chine drammaticamente commerciali
sennò il creatore diventa un oggetto di consumo anche lui
camminando il saliscendi bianco e nero di un mondo di emozioni senza il quale queste costruzioni non potrebbero esistere.
“Il mio è un richiamo alla miglioria della tecnica, un richiamo alle prestazioni del prodotto, è evocare l’immagine di un corpo che può essere vestito in maniera diversa, molto più delicata anche, senza spreco di tessuto. Direi che il mio lavoro si focalizza principalmente sulle prestazioni e sulle emozioni che le donne possono provare indossando questi abiti.”
Un pensiero dirompente e in continua evoluzione, che vive di contaminazioni e si alimenta della mescolanza delle arti: la moda, il design, la musica. Che intende abbattere i muri e fare esperienze con l’umano, un modo di osservare dall’alto, debordante e macro, a contatto con tutto, anche con il sociale, con il mondo del disagio. Nelle ambizioni un progetto internazionale di persone che abbiano qualcosa da dire, una voce corale che parli insieme alla voce silente di uomini e donne con problemi veri.
“C’è tutto da rompere e nel momento in cui rompi tutto, ecco, solo in quel momento tutto è da ricostruire. Ci vuole reazione, bisogna viverla la vita al meglio, non lasciarsi piegare e questo un creativo lo deve fare.”
Un vestire leggero, come senza peso, strappato alla definizione di sé stesso e rapito dall’entusiasmo di trovarsi in uno stato di solitaria quiete. Del tutto immobile, divenuta immobilità io stessa, inciampavo per caso, non a caso, nei fili tesi intorno all’essere.
Desidero ringraziare per la cortese intervista Matteo Thiela www.matteothiela.it – Facebook – Instagram
Foto di Elisabetta Brian