Lo sguardo non indugia nei luoghi conosciuti, cerca l’ultimo rigo inciso all’orizzonte. Esplora il buio e la luce, il disorientamento e il malessere, le diversità etniche e sessuali, consce e inconsce. E rigetta, con netta esuberanza creativa, il dogmatismo della fotografia.
Padre palestinese e madre italiana, figlio di due culture diverse che, sostiene lui stesso, lo hanno costretto a far convivere mondi differenti ripensando il conflitto come momento di crescita e non solo come portatore di negatività, Mustafa Sabbagh è l’artista considerato oggi una delle voci più autorevoli nel campo della fotografia contemporanea.
“Il mio rapporto con la fotografia? E’ nato con una polaroid in realtà. Fin da piccolo ho sempre fotografato, anche perché per me era una forma di gioco e credo che continui ad essere la mia forma d’amore quasi infantile. Non voglio troppo razionalizzarla, posso razionalizzare i progetti che faccio con la fotografia ma il mio rapporto con essa vorrei rimanesse sempre in questa forma: una forma di gioco e passione.”
Mustafa Sabbagh, Foto di Margherita Spatola
Cresciuto in una famiglia colta e di ampie vedute, “ed è questo il più grande privilegio, non nascere con il denaro”, il padre che negli anni ’60 già collezionava arte contemporanea, Mustafa Sabbagh consegue la laurea in architettura allo IUAV di Venezia e poi si trasferisce a Londra dove si forma come assistente di Richard Avedon.
“Faccio fatica a parlare di lui, posso parlare del suo lavoro ma del rapporto con lui no. Innanzitutto perché non è vivo e quindi non gli dò possibilità di replica e poi perché quando i legami hanno inciso così tanto nella tua vita qualche parte, intima, la vorresti sempre preservare. E’ stato molto severo ma un ottimo maestro.”
Appena inizia a misurarsi con la fotografia di moda rifiuta l’appiattimento dentro il perimetro del conosciuto. Sperimenta l’ignoto, cammina strade “altre” provando ad accorciare la distanza tra la gabbia dorata del mondo della moda e i confini fluttuanti del mondo reale, evita di rimanere imbrigliato in un linguaggio fatto di omologazioni e astrazioni.
“Ricordo che dovevo combattere continuamente con le redattrici per spiegare loro che, in quel momento storico – siamo negli anni ’90 – il mondo era molto più evoluto rispetto al loro pensiero. Alla fine non sono stato io ad abbandonare la moda, più semplicemente è stata la moda ad essersi spostata dai miei pensieri. Perché purtroppo questo tipo di fotografia si è ridotto ad essere solamente uno strumento funzionale alla vendita. Lo rispetto ma io non voglio farne parte.”
Mustafa Sabbagh, Onore al nero _ untitled, 2014 dittico, stampe fotografiche fine art su dibond, ed. di 5 + 1 PA courtesy: l’artista
La ricerca vira verso un mondo espressivo e comunicativo inedito. E’ il nero insistente, il nero che tende alla intensificazione più assoluta, là dove la superficie sembra essere attraversata da vibrazioni telluriche, spinte laceranti, forze dal carattere fluido. Dove gli uomini sono quelli di cui diceva Platone, le gambe e il collo stretti in catene, in una sotterranea abitazione dalla forma di un antro che abbia aperto alla luce l’ingresso; lontana da essi, in alto e di dietro, splende una luce di fuoco.
“Il lavoro sul nero muove in realtà dal mito della caverna di Platone. Se tu non sei dentro la caverna non hai la possibilità di vedere la luce, perché se ti immergi nella luce quello che riesci a vedere è soltanto il buio. Per cui io preferisco fare l’opposto, preferisco avere una prospettiva luminosa, non una prospettiva buia. In realtà quello sul nero è un lavoro molto realista, addirittura calvinista direi. E poi il nero è un colore magico ed è un’altra magia che non voglio razionalizzare.”
Nella rilevazione di quella intensità si rivela anche l’intensità della bellezza, una sorta di contro-canone estetico fatto di pelle segnata, di ferite, di imperfezione. Un diario involontariamente scritto, le linee tracciate con la vita invece che con l’inchiostro, un accumulo di esperienze, il tramite primo con l’esterno.
“Dico sempre che è l’abito più bello che sia mai stato disegnato, niente ci calza meglio della nostra pelle. Fin da piccolo ho avuto un rapporto particolare con la pelle. Mi piaceva molto il colore di quella di mio padre, era la prima cosa che guardavo quando lo vedevo uscire e gliela toccavo così come toccavo la pelle di mia madre e quella ruvida di mia nonna. Nel tempo è diventata quasi una forma di feticismo e su questo ho iniziato a ragionare.”
veduta dalla mostra personale di Mustafa Sabbagh “#000: Tuxedo Riot” - chat room, 2015 [video-installazione di 2 HD video, color, loop] XXIV ed. SI fest, Savignano sul Rubicone, 2015 - credits:Federica Casetti
Una forma di critica nei confronti della ricerca ossessiva di una inesistente perfezione, una rivoluzione sussurrata, una “Tuxedo Riot” recitava il titolo di una sua celebre mostra. A significare l’interesse per l’Uomo tutto, per la complessità dell’individuo considerato nella sua interezza: oltre l’appartenenza a un genere, oltre gli stereotipi, oltre i dogmi, una bellezza liquida che si nutre di contrasti e strappi, di inquietudine e metamorfosi.
“Una cosa che proprio non accetto è dare per scontato che la bellezza sia fatta di numeri, di misure, di canoni. Non c’è più questa scala di valori! La bellezza è qualcosa che ti fa sentire vivo e non vuol dire sentirsi bene, perché si può stare anche male a volte di fronte alla bellezza. La bellezza – non solo fisica, intendo, ma anche quella intellettuale – ferisce, mette a disagio. La bellezza in senso lato di una società, la sua apertura, mette a disagio perché è contaminazione, aggregazione, avventura, attrito, scambiarsi odori e sudori. E’ questa la bellezza, e per questo dico che la bellezza ferisce: perché disturba.”
Mustafa Sabbagh, Made in Italy© - Handle with care, 2015 - 27 stampe lambda su box in legno bianco + 3 stele espositive, cm 45x32x8 cad. - ed. di 5 + 1 PA - sx: #0014Victor - IGP, 2015 - dx: #0010Sami - DOCG, 2015 - courtesy: l’artista, MAXXI museo delle arti del XXI secolo [roma]
Una bellezza fatta anche di contaminazioni in cui i valori dell’etica e dell’estetica si fondono e che si manifesta chiaramente nel progetto “Made in Italy© – Handle with care” acquisito nella collezione permanente di arte contemporanea del Museo MAXXI di Roma. Sullo sfondo della linea orizzontale del mare ventisette ritratti di ragazzi italiani figli di italiani insieme a italiani figli di immigrati e a immigrati figli dell’Italia accompagnati da vere e proprie etichette simbolo dell’unico prodotto spendibile: un futuro di integrazione.
“Stavo ragionando sul tema delle eccellenze italiane e accanto alle tre F, Fashion – Food – Forniture esportate in tutto il mondo, ho pensato anche a una quarta rappresentativa del Fanciullo, quindi del Futuro. Non un lavoro sociale, perché non amo i lavori dichiaratamente sociali, mi interessava piuttosto che rimanesse il gesto artistico, gli adolescenti come portatori di un valore nuovo: la ricchezza della diversità.”
Mustafa Sabbagh, Candido _ untitled, 2016 stampa fotografica fine art su dibond, ed. di 5 + 1 PA courtesy: l’artista
Una bellezza che è nelle parole recitate, mentre leggo “Candido” e lo invito a lavarsi le mani. Anche in quel suono spezzato e ritmato è la bellezza, anche nell’innocenza è la bellezza. In quelle mani che non importa di cosa siano macchiate, di tempera o efferatezza, nella non-conoscenza che è incoscienza, anche lì è la bellezza. In lui bambino che non conosce il senso di colpa e chiude gli occhi e li chiude anche a me per contare fino a dieciventicinquanta e avere il tempo di correre a nascondersi. Poi verrà il tempo in cui battersi il petto che ora, da bambino, custodisce un cuore puro, incontaminato dalla barbarie della coscienza.
veduta dalla mostra antologica itinerante di Mustafa Sabbagh “XI comandamento: non dimenticare” - Candido, 2016 ZAC – zisa zona arte contemporanea, palermo, 2016 credits: Roberta Gennaro
“Pensavo ai deboli della società mentre scrivevo queste parole, preludio a uno dei progetti a cui tengo di più. Tutti mi conoscono per il Nero, ma in realtà Candido è per me un lavoro clamoroso. E’ una metafora, la rappresentazione dell’innocenza pura. Il bambino rappresenta tutto ciò che in maniera inconsapevole, senza rendersene conto, può fare male. L’arrivo dell’immigrato, per esempio, può dare fastidio a qualcun altro e certe culture ancora innocenti, che non hanno avuto la possibilità di difendersi, non vanno condannate a priori. Ecco il senso di questo lavoro.”
Mustafa Sabbagh, Memorie liquide _ untitled, 2012 stampa fotografica fine art su dibond, ed. di 5 + 1 PA courtesy: l’artista, fondazione ferrara arte
Nell’universo di immagini di Mustafa Sabbagh si condensano una energia e una potenza vitali mai disgiunte dall’impiego dei corpi, dalla adrenalina che essi emanano, dall’eros, dalla sua piena consapevolezza e dalla libertà che ne consegue. E per contro, in un processo di unificazione dei contrari, in un tentativo di ricucire la dicotomia tra gli opposti, per contro anche la morte.
“La morte è per me è una forma di cambiamento di stato, di condizione. Non so cosa ci sarà dopo, sto indagando su questo molto profondamente ma non sono giunto a una conclusione, e non so se mai ci arriverò. Sto provando a far sì che anche gli altri indaghino guardando le mie opere, perché io credo che capire che ci sarà un cambiamento forse ci può spingere a vivere meglio lo stato attuale delle cose.”
Innocenza e peccato, Eros e Thanatos, il bene e il male, il positivo e il negativo, un territorio sconfinato in cui gli estremi si attraggono e convivono e invitano a una riduzione unitaria.
Mustafa Sabbagh, Memorie liquide _ untitled, 2012 dittico, stampe fotografiche fine art su dibond, ed. di 5 + 1 PA courtesy: l’artista, fondazione ferrara arte
“Mi fanno molta paura gli artisti che pensano di cambiare il mondo; io, onestamente, non voglio cambiarlo. Credo che il mio compito sia piuttosto cambiare il punto di vista delle cose, dire: guardiamo in modo diverso quello che c’è. E non desidero nemmeno essere consegnato all’immortalità con la mia arte. Mi interessa invece che rimanga un pensiero per le generazioni future, l’invito ad accettare anche la parte negativa di noi.”
Desidero ringraziare per il tempo dedicatomi e per l’intervista che ne è conseguita Mustafa Sabbagh.
Un ringraziamento speciale anche a Margherita Spatola per le immagini e il supporto e a Fabiola Triolo per la preziosa collaborazione.