“Power is no longer measured in land, labour or capital, but by access to information and the means to disseminate it.” (Radical Software, Issue # 1)
INTRODUZIONE
L’attuale presenza del video, nelle forme più variegate, consolidata in mostre, rassegne ed eventi di arte contemporanea risulta oggi l’appendice di un più vasto sistema visivo gerarchicamente inteso e ribadito dall’immediatezza e dalla forza comunicativa con cui le immagini in movimento si articolano. Forza supportata anche dall’irruzione di una tecnologia progressivamente più maneggevole e capace di allargare gli scenari di ricerca.
Nell’arco di pochi decenni – quarant’anni circa – superando molte delle convenzioni e dei dogmi ereditati dalla storia dell’arte, l’utilizzo del video ha innescato visioni sempre più ampie, ricche e articolate, allargando l’orizzonte del visibile. Una forma artistica particolarmente complessa, un mezzo di espressione estremamente duttile, che difficilmente si presta a una singola prospettiva interpretativa e a una lettura unificante. Volendo tentare una categorizzazione si potrebbe riprendere quella offerta da Doug Hall e Sally Jo Fifer che parlano di video come storia d’artisti e di visioni, come veicolo alternativo di accesso a informazioni e punti critici ma anche come genere artistico a sé stante la cui affermazione si è avuta tramite una pluralità di voci.
Francesca Leoni, Ego-crazia, 2017, still from the video
In questo contesto di specie nomadica, erratica, si inscrive la presenza sempre più fitta di protagoniste al femminile perché là dove le attività si fanno più estrose e mobili, legate alle intuizioni, all’agilità della mente, là il lavoro femminile aumenta di incidenza e presenza.
Francesca Fini è un’artista che si confronta con il cinema sperimentale, l’animazione digitale, l’installazione e la performance art. I suoi progetti affrontano spesso questioni legate al rapporto tra spazio pubblico e privato, tra spettacolo e spettatore, tra rappresentazione e interazione, ma riflettono anche sulle influenze della società sulle questioni di genere e sulla distorsione nella percezione della bellezza prodotta dal mercato e dai media mainstream. Le sue opere sono un mix di media tradizionali, tecnologie lo-fi, dispositivi di interaction design, audio e video generativo. La Treccani cita Francesca Fini alla nuovissima voce cyber-performance, come una degli artisti più significativi di questo linguaggio in Italia.
Francesca Fini, Fair & Lost, 2013, still from the video
Francesca Leoni, laureata in “Communication Studies” alla University of North Carolina di Wilmington, inizia durante il periodo del College la sua attività in ambito teatrale dopo di che, al rientro in Italia, il suo interesse si sposta verso la performance e le pratiche cinematografiche. Studia prima con Marco Bellocchio e, in seguito, alla Rutger Hauer Film Factory. Dal 2011 inizia un’ attività di video performance con il compagno Davide Mastrangelo con una particolare ricerca sulle relazioni. Allo stesso tempo, porta avanti, singolarmente, un lavoro incentrato sull’identità in quanto fusione tra corpo sociale e corpo personale.
Francesca Leoni, Refl(Action), 2015, still from the video
Francesca Lolli concentra la sua indagine sulle diversità di genere e le questioni socio-politiche. E’ l’urgenza che la porta a comunicare e attraverso il corpo e il video cerca di farsi veicolo di emozioni, cerca di sublimare la sua visione della vita e del mondo che la circonda e molto spesso possiede. L’obiettivo principale della sua ricerca è quello di ricevere ed elaborare il ‘qui e ora’, di parlare del presente e di poterlo trasporre in una dimensione universale.
Francesca Lolli, Espiazione, 2018, still from the video
Differenti da un punto di vista squisitamente formale, le tre artiste sono accomunate da uno studio autonomo e indipendente di ricerca ed elaborazione. Un approccio più “puro” quello di Francesca Fini, dedito all’elaborazione di tecniche digitali, che si muove verso visoni caleidoscopiche e disorientanti. Le immagini in movimento di Francesca Fini sono ordigni conturbanti, turbano evocando passioni ed emozioni, mettono in scena un corpo amplificato dalla tecnologia che mantiene intatta la propria natura animale e biologica. I video delle sue performance, sempre d’ottima fattura, riescono ad essere non mere registrazioni ma veri e propri piccoli film colmi di sorprendente ed ammaliante genialità. (Alessio Galbiati in Digicult)
Francesca Fini, Self-defence, 2019, still from the video
Le linee narrative di Francesca Leoni sono invece incentrate su uomini e donne che sembrano vivere all’interno di un luogo metafisico posto tra realtà e fantasia, come in una visione onirica così che riesce difficile allo spettatore riconoscere se ci trovi dinanzi a una situazione di sogni o incubi. Una sensibilità da cui emergono tendenze prosaiche in sequenze abilmente studiate e coreografie.
Sempre l’Io, o meglio, la sua pulsione egemonica è il tema affrontato da Francesca Leoni in una sua produzione personale e autonomamente realizzata, Ego-Crazia, che si discosta da un’idea tradizionale di videoarte perché utilizza attori recitanti impegnati nella messa in scena comportamenti simbolici e apre in questo modo ai linguaggi teatrali ma senza concedere nulla alla narrazione. L’azione cioè, si situa in quell’interregno che chiamiamo allegoria: un linguaggio simbolico che, a differenza della metafora, necessita di uno sviluppo temporale e di una concatenazione di gesti emblematici per dipanare il senso a cui l”opera allude. (Piero Deggiovanni, Antologia critica della videoarte italiana 2010-2020)
Francesca Leoni, Fr-agile, 2012, still from the video
In Francesca Lolli il video è spesso usato come mezzo, protesi corporea per sottolineare o elaborare modalità d’azione o gestuali, in modo da prendere forma proprio nella dimensione reale, fisica, circoscritta dalla ripresa e da un uso non invasivo del montaggio. Vorrei che il mio corpo (dal vivo o passando attraverso l’obiettivo) spiega l’artista, fosse un mezzo pulsante e ricettivo dei mali (e beni) dell’epoca nella quale mi è dato vivere. Del resto, l’idiosincrasia verso ogni limite imposto alla persona – specie se donna – e la ribellione verso ogni costrizione sono una costante del lavoro di Francesca Lolli. (Piero Deggiovanni, Antologia critica della videoarte italiana 2010-2020)
Francesca Lolli, Orgia o piccole agonie quotidiane, 2016, still from the video
A VIRTUAL EXHIBITION
My name is Francesca è un progetto che nasce come articolata proposta di mostra fisica per spazi tradizionali, ma che ha oggi il suo improvviso debutto in rete come risposta attiva alla crisi del contatto e del contagio che tutti stiamo vivendo sulla nostra pelle a causa dell’emergenza Coronavirus SARS-CoV-2. Tre donne quindi, tre storie di resilienza, tre approcci vitalistici all’arte. Un’unione di intenti che vuole mettere in crisi l’oggettività di questo momento di crisi spostando l’attenzione dal luogo di cultura ora necessariamente chiuso al luogo di cultura aperto alla proiezione e al senso dell’amplificazione. Una messa in questione dei fatti.
Il titolo gioca ironicamente proprio sul concetto di nomen omen, ovvero sul tentativo surrealistico di suggerire un legame fatale tra il nome e la damnatio artistica delle tre protagoniste. Perché proprio la performance art e la video arte? Si può trovare una connessione ideale tra una generazione, quella ampia che negli anni ’70 e ’80 ha chiamato le figlie Francesca, e la diffusione capillare, soprattutto tra le donne artiste, delle arti time-based, ovvero quelle forme espressive che utilizzano e manipolano il tempo, a differenza di quelle senza tempo come scultura e pittura?
Possiamo distillare tutto questo in una saporita metafora generazionale del nostro Paese?
La mostra si concentrerà proprio sulla natura ibrida dei lavori delle tre artiste che saranno fruibili in una galleria virtuale suddivisa in cinque stanze tematiche popolate e animate da video-installazioni, testi, suoni ed azioni performative in live streaming.
Francesca Fini, Wombs, 2015, still from the video
CONCLUSIONI
Sicuramente il contesto dell’emergenza Coronavirus SARS-CoV-2 ha funzionato da epicentro creativo per la realizzazione di questa mostra nella sua estemporanea e inedita versione on-line. Sta di fatto che, al dì là della situazione contingente, accomunate dall’interesse a sviluppare le proprie ricerche reinventando ogni volta mezzi e modalità d’uso del video, Francesca Fini, Francesca Leoni e Francesca Lolli producono originali declinazioni che ci fanno percepire questo mezzo come una delle più vitali e innovative forme dell’arte contemporanea.
In copertina: Francesca Lolli, Espiazione, 2018, still from the video
Bibliografia:
- Francesco Poli (a cura di), Arte Contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 a oggi, Electa, 2006
- D. Hall e S.J. Fifer, Complexities of an Art Form, in Illuminating Video, D. Hall e S.J. Fifer (a cura di), Aperture/BAVC, New York – San Francisco, 1990
- Renato Barilli, Prima e dopo il 2000. La ricerca artistica 1970-2005, Feltrinelli, 2017
- Zigmunt Bauman, La società individualizzata, Mulino, 2002
- Charles Taylor, Il disagio della modernità, Laterza, 2006
- Alessio Di Benedetto, Tristano e Isolda, Macro Edizioni, 2006