“I Wanna Be An Influencer” è il secondo libro di Nicola Tanzini (Pisa, 1964), imprenditore, Founder e Presidente di intarget (partner per la consulenza strategica nel marketing digitale) e fotografo umanista. Nel volume, edito da Skira Editore e curato da Benedetta Donato, l’autore indaga il mondo dei social network, riflettendo su come questi e le figure degli influencer abbiano contribuito alla creazione di nuovi comportamenti sociali nello specifico ambito del turismo.
Francesca Interlenghi: Vorrei partire dall’inizio e chiederti della genesi del libro. Qual è stata la spinta a condurre questa ricerca fotografica?
Nicola Tanzini: Mi stavo interessando alla fenomenologia del turismo già mentre lavoravo al mio primo libro fotografico Tokyo.Tsukiji (2018), cercando di capire come il turismo si fosse modificato negli ultimi anni e soprattutto se in questo avessero avuto un’influenza i social network. Indagando questa tematica, mi sono ritrovato un giorno in Piazza dei Miracoli a Pisa a osservare qualcosa che fino a quel momento mi era sfuggito. Tra le migliaia di persone in posa per scattare la classica foto reggendo la Torre a Pisa, ce n’erano molte altre, tendenzialmente giovani, che erano lì per rappresentarsi con indosso abiti e accessori come se fossero in un set, con l’obiettivo di ambientarli in uno dei luoghi più famosi al mondo. Da quel momento ho cominciato a studiare il fenomeno, a guardare soprattutto Instagram per capire se quello che avevo intercettato fosse semplicemente un caso. Mi si è aperto un mondo e allora ho provato a comprendere come tutte queste persone, che definiamo influencer, operino la scelta delle loro mete, secondo quali criteri.
Francesca: Hong Kong, Shanghai, Roma, Pisa, Laguna di Venezia e Tokyo sono i luoghi più frequentati dagli influencer. Perché?
Nicola: Perché sono rilevanti per la loro “instagrammabilità”. Ad Hong Kong, per esempio, c’è uno dei docks più famosi tra gli infuencer, che lo utilizzano proprio come set per rappresentarsi. Lo stesso vale per certi condomini, situati in zone molto depresse della città, che avrebbero infinite storie da raccontare, storie che negli scatti si intravedono appena. La cosa che ho cercato anche di far emergere è come gli influencer siano totalmente disinteressati al contesto ma siano invece interessati alla resa mediatica del luogo nel quale si posizionano. In una delle immagini del libro, realizzata proprio ad Hong Kong, si vede un cartello bilingue che reca la scritta “vietato riprodursi fotograficamente”, perché ciò disturba e invade un contesto sociale che niente ha a che fare con l’attività di queste giovani persone. Mentre in un’altra si vede un gruppo di anziani che giocano a carte e tutti questi influencer in fila uno dietro l’altro, in attesa del loro turno per la foto.
Francesca: Dal punto di vista antropologico il fenomeno segna un cambio di paradigma importante, perché sposta l’attenzione dai luoghi e dalle loro architetture agli oggetti che si vogliono rappresentare attraverso le piattaforme mediali.
Nicola: Il taglio che a un certo punto ho deciso di dare al lavoro è stato quello di immedesimarmi nel fotografo di scena e da questa prospettiva ho cercato di raccontare anche il contesto, la vita reale che avviene intorno all’influencer, provando a rappresentare il fenomeno senza darne un giudizio ma facendo lo sforzo di comprenderne le dinamiche, proponendo un contributo alla discussione. La riflessione è certamente di tipo antropologico perché, se da un lato l’avvento dei social network ha creato quella che oggi consideriamo una nuova professione, dall’altro non si può non registrare come sia cambiato il nostro vissuto rispetto all’attrazione turistica, come oggi sia più importante rappresentare sé stessi in quella attrazione piuttosto che andare alla scoperta di nuovi luoghi, situazioni e culture, con l’obiettivo di arricchire il nostro bagaglio di conoscenza. Sostando per tanti giorni in queste città mi sono accorto che il tempo di permanenza del turista, non solo dell’influencer, è molto breve. A Pisa, in Piazza dei Miracoli per esempio, pochissimi entrano nella cattedrale o vanno alla scoperta di quello che c’è intorno. Arrivano, si rappresentano e se ne vanno. Mossi dall’esigenza di raccontarsi agli altri, di inserire la propria immagine nel flusso continuo di quelle che oggi ci passano ininterrottamente davanti agli occhi.
Francesca: Le tue fotografie si caratterizzano per una cifra stilistica ben definita: un bianco e nero netto, deciso, molto contrastato, che porta dritto al soggetto senza mediazioni.
Nicola: Da quando ho iniziato a fotografare, a diciott’anni durante la vacanza della maturità, ho sempre scattato in bianco e nero, a parte un periodo nel quale ho sperimentato le diapositive. Ma per me tendenzialmente la fotografia è sempre stata così. La scelta del bianco e nero risponde anche all’esigenza di concentrarmi sul contenuto, su quello che è il tema, l’argomento che ho deciso di indagare. Ho bisogno di focalizzarmi sull’essenziale e il colore in un certo qual modo potrebbe distrarmi, potrebbe per esempio non permettermi di fare un determinato scatto perché magari in quel momento, dal punto di vista cromatico, non funzionerebbe. Invece io devo rivolgere l’attenzione su ciò che sento di voler rappresentare e in questo il bianco e nero mi aiuta tantissimo.
Francesca: In chiusura, non posso non chiederti il valore e il senso di un libro oggi, in un momento storico in cui tutto si sta virtualmente smaterializzando.
Nicola: Per me è fondamentale perché, pur essendo una persona che lavora nel digitale e appassionato di tecnologia, sono anche legato intimamente alla carta, alla scrittura. Pensa che scrivo ancora con una penna stilografica! Mi serve l’elemento grafico. La materia, l’odore della carta, quello di un libro, sono elementi fondamentali. Sono io stesso un collezionista di libri fotografici e per me il libro è ancora un punto di riferimento. Allo stesso modo, ho bisogno di stampare le foto, le devo toccare, osservare, entrarci dentro, guardare i dettagli. La percezione sensoriale che genera l’immagine su carta è la finalizzazione della fotografia, non potrei fotografare se non pensando alla stampa di quell’immagine.
Tutte le foto dell’articolo sono tratte dal libro di Nicola Tanzini, I Wanna Be An Influencer, © Skira Editore, Milano 2022
Nicola Tanzini (Pisa, 1964) è un imprenditore e fotografo da oltre trent’anni.
Due personalità, imprenditore e fotografo, che si intersecano tra loro e creano una sinergia unica. Tutto parte da un grande studio e un’ampia attività di ricerca, un approccio profondo e professionale che lo hanno portato oggi ad essere il Founder e Presidente di intarget, partner per la consulenza strategica nel marketing digitale e un fotografo umanista che osserva il mondo attraverso la lente della sua macchina fotografica.
La sua attività è un percorso costante e profondo volto a cercare di capire di più e meglio il mondo, volto a conoscerne ogni angolo, sia dal punto di vista della fotografia che dell’innovazione. La sua ricerca si ispira prevalentemente al movimento della fotografia umanista, ponendo al centro i comportamenti, le situazioni quotidiane appartenenti alla natura umana, in quello che l’autore definisce il proprio ambiente naturale: la strada.
Ha fondato Street Diaries, un progetto itinerante e in costante evoluzione sulla fotografia di strada, che si alimenta grazie ai numerosi viaggi compiuti dall’autore intorno al mondo e che finora ha visto protagonisti luoghi, quali: Londra, Dublino, San Francisco e molti altri ancora.
Tokyo.Tsukiji è la sua prima pubblicazione editoriale edito con Contrasto.
Nel 2022 è in pubblicazione il suo nuovo libro I Wanna Be An Influencer edito da Skira.