Dal 13 settembre al 13 ottobre C+N Gallery CANEPANERI ospita nella sede milanese di Foro Bonaparte 48 «Something from Nothing», mostra personale dell’artista e scrittrice Olivia Parkes (1989), che presenta in questa occasione una serie di nuovi dipinti.
Come scrive il poeta e traduttore Timmy Straw, che ha redatto il testo critico «[…] un complesso di motivi percorre l’opera di Parkes: specchi, porte, finestre, gabbie, piume, animali fantastici, le danze statiche e circolari degli alberi».
Francesca: La tua pratica artistica si basa fondamentalmente su due media: la scrittura e la pittura. Come ti relazioni con entrambi e come traduci le tue suggestioni nell’uno o nell’altro?
Olivia: Mi piace il mutismo della pittura. Mentre una storia deve parlare, il senso di un dipinto può invece essere colto tutto in una volta Le due forme espressive offrono opportunità e sfide diverse, in un certo senso sono l’una il sollievo dall’altra. C’è una certa similitudine tra il modo in cui inizio un racconto e come comincio un quadro. Lo faccio partendo da un’immagine o da uno scenario che suscita in me una forte sensazione o che semplicemente sollecita la mia curiosità. Cerco quindi di creare una composizione o trovare una relazione tra le parti, che chiarisca o intensifichi quel sentire primigenio. Trovo difficile lavorare contemporaneamente sia sulla pittura che sulla scrittura e preferisco fasi più lunghe e immersive, anche di diversi mesi, per l’una o per l’altra. Da quando ho terminato le opere per questa mostra, ho iniziato a lavorare a un romanzo.
Francesca: Dopo aver partecipato ad alcune collettive in galleria, questa è la tua prima personale. Come hai sviluppato il progetto espositivo?
Olivia: Volevo trovare un modo per dipingere un’immagine “vuota”, un oggetto o una scena in qualche modo assenti, ma avvalendomi di un linguaggio visivo che fosse fortemente evocativo. Mi piace il paradosso generato da un’immagine che rappresenta la “cosa” e il vuoto che si scopre guardando quella stessa cosa più da vicino. Quando ho iniziato a disegnare, hanno preso forma cerchi, ellissi, buchi: l’ingresso di una grotta, uno specchio, la pupilla di un occhio. E man mano che procedevo, il concetto di vuoto si ampliava anziché restringersi. Ho iniziato a pensare ai paesaggi – anche quelli più semplici come “The Way Up” e “The Way Through” – come a dei portali, non-luoghi che conducono da una parte all’altra.
Francesca: I soggetti dei tuoi dipinti – che talvolta ritrai capovolti – evidenziano la natura fallace, ingannevole e illusoria della percezione visiva. Il titolo stesso della mostra è una sorta di invito. Con l’obiettivo di scoprire qualcosa dal nulla, di individuare una presenza laddove a prima vista c’era solo assenza, solleciti lo spettatore a guardare nel fondo delle cose. Come manipoli la realtà nella tua pittura? E con quale scopo?
Olivia: Mi ha sempre interessato l’idea che il mondo che vediamo sia veramente solo il frutto di un’allucinazione individuale, plasmabile a seconda delle interconnessioni neuronali di ciascuno. Costruiamo il mondo percependolo e confrontando poi la nostra percezione con la realtà. Ma la realtà è di per sé invisibile, o visibile solo da un numero infinito di prospettive. Che aspetto assume il mondo “là fuori” quando viene interiorizzato da un pipistrello o uno squalo? Mi attrae questa mancanza di confini netti tra il dentro e il fuori, sicché ciò che sembra essere fuori da noi è per certi versi solo un’immagine che noi stessi proiettiamo nel nostro cervello. L’atto della rappresentazione, quindi anche creare un dipinto, si pone in relazione diretta con queste questioni. È un atto di separazione ma anche di sintesi. Un’immagine ci divide dal mondo, ma al contempo unisce anche ciò che è separato.
Francesca: Un altro tema strettamente connesso al tuo lavoro è la qualità ambigua dei tuoi dipinti. Spazi pieni e vuoti, passaggi aperti e chiusi, universi reali e irreali convivono in una continua tensione dialettica. In cosa si risolvono le storie che vuoi rappresentare?
Olivia: Più che rappresentare una storia, mi interessa creare dipinti con una logica visiva circolare, una sorta di loop dal quale sia difficile fuggire o che comunque metta in discussione il ruolo del fruitore nei confronti dell’opera. Alcuni degli espedienti che menzioni altro non sono che tentativi di intrappolare lo spettatore. Naturalmente, molti dei mie quadri propongono, in maniera invitante o giocosa, delle narrazioni. Ma è uno stratagemma che serve solo a perseguire il mio scopo, a porre interrogativi: chi o cosa è appena uscito dalla porta aperta? Il dipinto non lo dirà mai, perché termina lì dove finiscono i contorni fissi della sua cornice. Ma oltre quelli, esso suggerisce uno regno che si estende all’infinito e dentro il quale lo spettatore può entrare, partecipando al racconto.
Francesca: L’uso che fai dei colori, i toni vividi e vibranti che prediligi, sembrano enfatizzare ulteriormente il senso perturbante delle scene raffigurate. Che valenza ha il colore nel tuo lavoro?
Olivia: Insieme alla composizione, è lo strumento principale che ho a disposizione per creare un senso di drammaticità o tensione in un dipinto. Il colore può essere declinato in modo illimitato, è dinamico, costituisce una sfida e permette a un dipinto di diventare materia viva. Io lo utilizzo per scoprire e comunicare sorpresa e intensità. Paradossalmente, trovo che i colori accesi mi permettano di riposarmi, in qualche modo sorreggono il mio sguardo. C’è una chiarezza, un’autonomia in loro, assorbono e cedono. Allo stesso tempo però, nei miei quadri spingo il colore fino agli estremi confini, in un luogo disagevole: cerco l’armonia sull’orlo della catastrofe.
Cover story: Olivia Parkes, Review, 2023 (dettaglio), Olio su cartone telato, 41 x 55 cm, Courtesy: C+N Gallery CANEPANERI & Artista, Photo credit: Ben Marvin