Osart Gallery celebra questo momento di fermento culturale e artistico milanese con un doppio appuntamento. Negli spazi della galleria, ha da poco inaugurato la mostra 4 Rings, 2 Centers, dedicata all’omonima opera di Robert Morris (Kansas City, 1931 – Kingston, 2018), presentata inizialmente in occasione della prima personale dell’artista presso la galleria Alessandra Castelli nel 1974.
In occasione di Miart 2022 invece, Osart presenta un progetto sulla pittura contemporanea africana, attraverso il lavoro di giovani artiste della stessa generazione, tutte nate negli anni Novanta, che utilizzano il mezzo pittorico rimodulandone i confini in direzioni inedite. In fiera, dal 1 al 3 aprile, saranno esposti i lavori di Linnet Panashe Rubaya e Teresa Kutala Firmino, mai esibiti prima in Italia, insieme a quelli di Jeanne Gaigher e Katharien De Villiers, a cui la galleria ha di recente dedicato le prime personali italiane, e a quelli di Kresiah Mukwazhi, selezionata tra gli artisti che rappresenteranno lo Zimbabwe alla prossima Biennale di Venezia, e inclusa in passato in una collettiva a Osart Gallery.
Katharien De Villiers Cemetery / Dreamscape, 2019, photo printed on flag material treated with car paint, liquid lead, enamel and acrylic, oil paint and spray paint, cm 183 x 163. Courtesy the artist and Osart Gallery. Photo Max Pescio
Ne ho parlato in questa intervista con il proprietario e direttore della galleria Andrea Sirio Ortolani.
Francesca Interlenghi: Mi puoi raccontare la genesi di questa mostra dedicata a Robert Morris, una delle figure che ha contribuito in modo fondamentale al clima di rinnovamento artistico degli anni Sessanta?
Andrea Sirio Ortolani: L’idea di questa mostra è stata a lungo latente, dato che da moltissimo tempo ho la fortuna di avere quest’opera nella mia disponibilità. Venendo da un periodo in cui mi ero concentrato prevalentemente sull’arte contemporanea, trascurando l’altra linea di ricerca della galleria, le avanguardie degli anni Sessanta e Settanta, e complice la prospettiva di un periodo molto caldo per l’arte in Italia e a Milano in particolare, con la Biennale di Venezia e Miart, mi sono detto che era il momento giusto per riproporre una mostra storica. L’installazione, di dimensioni monumentali, è composta da sei elementi, per uno sviluppo totale di quasi venti metri e ad essa è dedicata tutta la sala principale della galleria. Un’opera museale, da grande istituzione, difficile da vedere in una galleria privata. Determinante è stato indubbiamente il sostegno della Collezione Panza, che ha prestato la documentazione relativa alla prima occasione espositiva, insieme a una serie di opere su carta degli anni Sessanta e coeve, qui riunite e presentate per la prima volta. Oltre al supporto della galleria Leo Castelli, di Lucien Morris e di Salvatore Licitra, artista e fotografo che aveva scattato tutte le foto dell’epoca.
Robert Morris, 4 Rings, 2 Centers,installation view at Osart Gallery, ph. Elisabetta Brian
FI: La galleria prosegue, da qualche anno ormai, questo scambio sinergico tra storico e contemporaneo. Fin dal suo esordio, Osart Gallery si è concentrata sugli anni Sessanta e Settanta e sui massimi esponenti dell’Arte Concettuale e Cinetica, della Body Art e della fotografia. Attualmente sta però esplorando l’arte emergente africana. Mi puoi parlare di questa doppia linea di condotta?
ASO: Fin dall’inizio della mia attività ho fatto un lavoro di riscoperta di figure un po’ dimenticate. Non che Robert Morris lo fosse, ma certamente è vero che era un po’ dimenticato dal mercato. Ad un certo punto però il rischio che si corre è quello di rimanere ancorati al passato. Fino a quando è possibile riscoprire? E quando riscoprire diventa una forzatura solo perché non riusciamo a trovare nulla di nuovo, di interessante, nel tempo presente? Per me, l’apertura verso il contemporaneo è servita come nuovo stimolo per una nuova ricerca, che è completamente diversa. Personalmente sono convinto che si possa trovare veramente forza ed energia nei luoghi che vivono importanti rivoluzioni. Il Sudafrica, in particolare con la fine dell’apartheid, è certamente uno di quelli, un Paese in cui è in atto una vera e propria esplosione di creatività. Vi ero andato per la prima volta nel 2008, quando ancora non esisteva un sistema dell’arte, e ci sono ritornato dieci anni dopo quando tutto era cambiato e fondazioni, musei e gallerie cominciavano ad affacciarsi al mercato internazionale. Da allora ho incontrato degli artisti strepitosi: sono le generazioni degli anni Novanta che stanno rivelando dei veri e propri talenti. Siamo stati, come galleria, precursori almeno in Italia in questa ricerca, fatta con costanza e con presenza sul territorio africano. Questo mio cammino ha un filo comune che è proprio la ricerca e l’una all’altra, quella rivolta allo storico e quella rivolta al contemporaneo, mi danno l’energia necessaria ad avere sempre sollecitazioni nuove. Mi rendo conto che spesso molte gallerie, che pure apprezzo e stimo, proseguono il loro lavoro solo in un senso. Ma per come sono io ad un certo punto diventa estremamente noioso.
Teresa Kutala Firmino, Individual, self and play, 2020, acrylic and collage on canvas. Courtesy the artist and Everard Read Gallery.
FI: Il nuovo a cui guardi, il panorama sudafricano intendo, utilizza un medium che certo non si può definire nuovo, mi riferisco alla pittura. Per contro, l’opera di Morris, che nuova non è, mantenendo un’essenzialità delle forme di matrice minimalista, risulta ancora oggi sorprendentemente attuale. Forma e contenuto, in che relazione stanno per te oggi?
ASO: Da quando ho iniziato a investigare il panorama sudafricano, ho proposto sopratutto artisti che lavorano con la pittura. Tutto il mio passato, invece, ignorava la figurazione. Io credo che ogni periodo storico, per raccontarsi, si avvalga di un medium specifico. Se fino agli anni Sessanta e Settanta la pittura e la tela erano state predominanti, quando irrompono sulla scena linguaggi come quello dell’installazione o della fotografia, essi rappresentano un momento di rottura, una vera e propria inversione di rotta. Naturalmente, e fisiologicamente, quando il sovra-utilizzo e la sovra-esposizione di quei media ha esaurito la propria forza espressiva, si è sentita la necessità di tornare alla pittura. Secondo la mia opinione, il medium pittorico è quello che meglio si presta alla narrazione di un contenuto. Nella pittura africana ho trovato moltissimi racconti nuovi, certamente supportati da una tecnica convincente, ma validi dal punto di vista dei contenuti, che sono strettamente connessi al contesto sociale, politico ed economico di quel Paese. La forma senza contenuto oggi non mi interessa più. E’ necessario andare in Africa per trovare narrazioni originali? L’Europa non è più capace di generarne? Difficile rispondere. Certo è che dai grandi momenti di crisi nascono gli impulsi creativi e in un certo senso il benessere è nemico di questo fermento. Le cose nuove, forse, e con questa provocazione concludo, non potranno che essere realizzate con mezzi nuovi, con le nuove tecnologie probabilmente.
Robert Morris, 4 Rings, 2 Centers,installation view at Osart Gallery, ph. Elisabetta Brian
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Robert Morris | 4 Rings, 2 Centers
24 Marzo – 21 Maggio 2022
Osart Gallery, Corso Plebisciti 12, 20129 Milano
Miart | 1-3 Aprile 2022
fieramilanocity_MiCo – Pad 3 – Gate 5 – viale Scarampo, Milano
Stand A 06 – A 14.
Orari di apertura:
Venerdì 1 aprile 11.30/15.30 – 15.30/20.00
Sabato 2 aprile 11.30/15.30 – 15.30/20.00
Domenica 3 aprile 10.00/13.30 – 13.30/17.00