C’è una precisa volontà di understatement estetico, un desiderio di ridurre al minimo decorativismo e piacevolezza nell’ampia produzione di Paolo Icaro, artista al quale la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino dedica una mostra antologica che racconta 55 anni del suo lavoro, dal 1964 al 2019, attraverso una corposa serie di opere alcune delle quali realizzate appositamente per l’occasione.
Una riflessione sullo spazio e sulla scultura in cui non è più il bel materiale tradizionale che interessa quanto piuttosto le strutture primarie, le sagome elementari, forme geometriche o squadrate costruite con materiali semplici e spesso rozzi, o quanto meno schietti e non sofisticati come il gesso e i metalli. Forme che pure si differenziano da quelle della minimal art statunitense per la volontà di accogliere in loro molteplicità e imperfezione, l’irregolarità capace di scardinare la regolarità delle strutture.
Come quell’unico spesso filo di alluminio Senza titolo (2018) – illuminato dalla sorgente luminosa del video – che si dipana nello spazio in un groviglio di curve e, modellato dall’artista, si fa immagine dell’interminato ciclo vitale della creazione.
E’ la vita delle forme che coincide con il senso del divenire – scrive la curatrice Elena Volpato. E’ il mondo sensibile illuminato dalla forza vitale del tutto, dove nulla è visto nella luce asettica e atemporale del pensiero, ma tutto germina nel fluire del tempo, tutto viene alla luce nel mondo impastato d’universale e d’umano.
Paolo Icaro Chinotti nasce a Torino nel 1936 e dopo la laurea in Lettere viene accolto, nel 1958, nello studio del maestro Umberto Mastroianni che gli attribuirà il nome Icaro. Si appassiona al linguaggio della scultura e fin da subito il suo lavoro si manifesta nella sua piena dimensione concettuale. Non a caso all’età di ventinove anni parte per New York dimostrando la volontà di allontanarsi dal programma non ancora pienamente formulato dell’Arte Povera per avvicinarsi alle premesse dell’arte concettuale e minimale americane.
Il trascendente, questo gli è sempre interessato. Qualcosa che assomiglia alla vita, al venire alla luce; di più: la consapevolezza della vita, il senso dell’essere nel mondo. Ecco perché le sue opere conducono lo spettatore a prendere coscienza del proprio stare nello spazio, del proprio modo di attraversarlo e viverlo, di come questo sia espressione del nostro appartenere al fluire del tutto, al moto e al divenire delle cose nel mondo.
La mostra si apre con Forme di Spazio, una serie di opere realizzate tra il 1964 e il 1971 che insistono sulla necessità di disarticolare le stesse forme: quella rigida del cubo per esempio che nell’opera Cuborto (1969) risulta come sconnessa o mal assemblata, una struttura che barcolla in preda a un equilibrio instabile. O quella di un cancello Puprle Gate (1967) che invece di separare gli spazi vuole metterli in comunicazione e per questa ragione la distanza tra le sbarre verticali è pari alla misura della anche dell’artista: perché deve consentire il passaggio.
Icaro contempla la possibilità di misurare l’uomo a contatto con le cose del mondo, anzi misura un uomo, sé stesso e la sua relatività sulla superficie del molteplice – scrive la sua curatrice. I segmenti che va tracciando non costituiscono una misura universale, non offrono un’equivalenza costante. Ne è un esempio l’opera Soffio (1975): il tentativo di cristallizzare nel gesso l’impronta del respiro dell’uomo e con essa la dimensione indeterminata e incalcolabile della vita.
Sul finire degli anni Settanta prende avvio la grande stagione del gesso di Icaro che lo stesso artista dichiara di aver scelto perché facilmente reperibile nella campagna del Connecticut dove abitava in quel tempo. Cornice (1982) è composta da tre lati aperti di un rettangolo in cui si addensa, come fossero onde increspate, la materia. E proprio attraverso la presenza di quella cornice aperta tutte le opere di gesso bianco che abitano la stanza si mostrano nella loro natura di concrezioni di luce.
La leggerezza del gesso trova poi espressione nel Nido appeso a una parete e nelle tre Stele – che estendendosi vero l’alto si uniscono ad elementi di diversa natura come il ramo di un albero – in cui il senso di crescita verticale riprende il tema dell’arte intesa come forma di tensione verso una possibile completezza.
Scultura non solo e non tanto come oggetto o frammento bensì come “estensione su cui a lungo si è appuntato il pensiero” scriveva Arturo Martini ne La scultura lingua morta. Scultura anche come esplorazione della sua possibile estensione nello spazio. Lassù, per un blu K. (1990) rielabora la crescita verticale delle Stele ma qui il gesso si assottiglia come a significare il desiderio di conquistare uno spazio che non è semplicemente in alto ma attinge a un oltre, evocato dalla citazione della spugna impregnata di blu Klein. Luogo dei punti eccentrici (2007) estende nel tempo, oltre che nello spazio, il pensiero del nostro esserci nel cosmo. E poi linee di equilibrio che danno corpo all’andamento di una camminata o ancora linee composte di diverse tensioni che si incontrano tangenti nello spazio.
Dopo dieci anni di lavoro con il gesso, nel 1988 Icaro scrisse, in occasione di una mostra presso la Galleria Martano a Torino, Riflessioni:
La scultura si rivela e viene percepita
là dove un momento drammatico del…
là dove un momento drammatico…
là dove un momento drammatico dello spirito…
La scultura è là dove un momento drammatico
si concentra in materia e il tempo si arresta.
Il momento drammatico è l’anima stessa dell’opera d’arte, perché testimonia la nostra perduta armonia, un senso di dubbio e incertezza che serve a far battere più rapidamente il cuore. E’ quel raptus – parimenti drammatico – di cui scriveva Fausto Melotti in Linee: simile allo stato d’animo del ragazzo che, trovandosi a camminare di notte in una strada deserta, per farsi coraggio canta e, non ricordando più nulla, “inventa” la canzone.
Paolo Icaro, Antologia 1964 – 2019
Gam – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino
fino al 1 dicembre 2019
Foto di Alberto Nidola
Abito Elle Venturini