“Che cosa c’è di più inattuale, nel panorama sconvolto dell’arte contemporanea, di un’opera pittorica come quella di Giorgio Morandi?”
Esordisce con questo interrogativo il Professor Massimo Recalcati nel suo scritto “L’immagine-segno. Giorgio Morandi e la poetica del vuoto” analizzando il lavoro del grande pittore e incisore che è stato uno degli indiscussi protagonisti della storia del Novecento e che ha consacrato l’intera sua opera al silenzio delle cose.
Allo stesso modo, per una libera associazione di idee e nemmeno troppo ardita direi, mi verrebbe da domandarmi che cosa ci sia di più inattuale, nel panorama altrettanto sconvolto della moda, di un pensiero come quello di Plantation. Che intorno all’essenza degli abiti, alla loro riduzione esistenzialistica, ha costruito tutta la sua poetica. Che è stato capace di liberare il vestire dei suoi sterili estetismi e dei suoi facili eroismi riaffermando per contro la grandezza e la potenza del manufatto, sapendolo collocare in un un altrove refrattario a spettacolarizzazioni e affabulazioni.
Fondato in Giappone nella primavera del 1982, il brand basa l’intera filosofia del suo design sull’assunto per il quale i vestiti sono strumenti per la vita quotidiana. Ecco allora che funzionalità e bellezza diventano un tutt’uno inscindibile, parti complementari della stessa visione ed è proprio grazie a questa reciproca appartenenza che vengono alla ribalta la forza e il carattere distintivo del progetto.
Il proposito di isolare un mondo vero dentro un mondo fatto di apparenza si manifesta con la scelta accurata dei tessuti e con la propensione al comfort. Materiali naturali dalle trame ricche, morbidi e resistenti, che con il passare del tempo migliorano modellandosi alla forma del corpo. Modellandosi in forme destinate a durare perché intrise dell’essenza ultima della natura. E volumi ampi che lasciano altrettanta ampia libertà ai movimenti, che fanno risuonare la libertà dall’interno e donano a chi li indossa la capacità di “performare” i gesti in tutta la loro spontaneità.
Una estetica silenziosa che necessita di grande padronanza di sé per essere compresa e fatta propria perché come per tutte le cose del Giappone c’è qui dentro, e oltre, una cultura e un savoir-faire che solo un pubblico raffinato, avvezzo alla ricerca, attratto dalle sollecitazioni più colte di questa nostra contemporaneità può intendere. Un’audience ancora affascinata da valori quali credibilità e rispettabilità e che soprattutto non cede all’impulso, molto in voga ultimamente, di sbraitare quello che indossa.
Il risultato di questo approccio polisemico alla moda dà vita a figure interpretabili a più livelli e in diversi contesti. Figure che aprono un orizzonte infinito alle possibilità del racconto sul mondo.
Abiti Plantation collezione P/E 19 – website – Instagram
Desidero ringraziare per la cortese collaborazione Daniela Ugolini, A-net
Foto di Alberto Nidola