Sebbene la moda sia progressivamente e inesorabilmente uscita dalla mia sfera di interesse, ci sono ancora storie che mi piace raccontare. Storie che transitano fuori da un sistema che ristagna nelle acque paludose di una crisi dal carattere endemico prima ancora che pandemico. Storie di creatività coraggiosa, a loro modo rivoluzionarie. Perché decidere di essere niente altro che sé stessi, contro e oltre ogni omologazione, é davvero una grande rivoluzione.
Il termine esperienza [dal lat. experientia, der. di experiri: v. esperire] significa conoscenza diretta, personalmente acquisita con l’osservazione, l’uso o la pratica, di una determinata sfera della realtà. Ed è questo che manca alla moda oggi, l’esperienza diretta, il contatto con il reale, la capacità di esperire intesa anche come capacità di mettere in opera un esperimento. Perché non basta fare travasi di immagini, più o meno d’effetto, più o meno stupefacenti, dal reale al digitale. Non è quello l’esperimento. Bisogna piuttosto rompere gli schemi, non indugiare nelle consuetudini. Avere il coraggio di abitare la propria condizione di marginalità. E farne esperienza. E traslarla in forme e segni e volumi. Coraggiosamente trasformala in un avamposto del pensiero.
Del resto, per superare la contemporaneità bisogna essere capaci di decifrarla, di capirla, di metabolizzarla. Nessuno spirito innovativo può scardinare regole o tradizioni senza prima possederne la loro totale padronanza. Certo non è facile essere padroni del nostro tempo: il tempo dell’incertezza, della dispersione, della frammentarietà. Ma forse è proprio da qui, da questo senso di sgretolamento che si potrebbe ripartire per immaginare una dimensione più concreta, più tangibile – esperenziale appunto – e meno immateriale della cultura della moda. Proprio da questa vulnerabilità: pericolosa ma straordinaria ricchezza.
«La collezione porta il titolo di Experience, come a dire che siamo niente altro che il frutto delle nostre esperienze, positive o negative che siano, non importa. Le esperienze ci cambiano e il cambiamento va accolto, anzi, va colto. Ho lavorato a questa collezione dopo la morte di mio fratello, in un momento durissimo per me, in cui, caduta a terra, non riuscivo più a rialzarmi. La mente distaccata dal corpo. Nemmeno il lavoro mi dava più lo slancio. Poi, come se non bastasse, è arrivata la pandemia, a cui è seguito il lockdown, e quindi per una serie di evidenti ragioni non sono riuscita a consegnare in tempo la merce ai negozi. Con fermezza ho deciso che non avrei buttato via niente, che in controtendenza e in radicale opposizione all’unica moda che riconosco imperante oggi – quella del cestinabile generalizzato – non avrei azzerato proprio nulla. E da lì sono ripartita, dalle mie esperienze, per arrivare a questa primavera-estate 2021.»
Inutile scomodare le categorie del pensiero giapponese, ne è evidente il richiamo, le assonanze perpetuate. Quello di Rita Capuni è un vocabolario che da sempre predilige il disadorno, lo sdrucito, il fragile. Una grammatica che si articola intorno alla possibilità di produrre singolarità in un mondo sempre più standardizzato. In contrasto con certe dimostrazioni rumorose e abbaglianti di forma, la forma dei suoi capi, qualunque ne sia la declinazione, rimane funzionale e vestibile, destinata a durare nel tempo. A partire dallo sporty, rigorosamente bianco e nero, nei tessuti di cotone e macro nido di rondine. Continuando con il nero assoluto, in cotone viscosa, capace di esprimere tutto il suo carattere nell’elegante dicotomica alternanza di lucido e opaco. Concludendo con il lino, protagonista dell’estate, nelle tre varianti raw, stone e black.
La sua moda è sempre un esercizio ad afferrare la natura inafferrabile della donna e della vastità del suo animo per custodirlo in abiti che sono dei veri e propri contenitori per il corpo. E sul corpo si adagiano. Un lavoro che mette in campo una femminilità diversa: una donna che si copre, che copre l’esteriorità per far emergere una sensualità più forte, profonda e innata. Espressioni fugaci, piccole porzioni di corpo concesse allo sguardo, niente altro. Il resto è seduzione intellettuale. Desiderio di invisibile.
Rita Capuni: sito, Facebook, Instagram
Foto: Alberto Nidola
Gioielli e Location: Manuganda
Mua: Gaia Lo Frano