Prima di conoscere il lavoro del fotografo Sohail Karmani, Sahiwal era per me una città invisibile, molto simile a una di quelle di cui racconta Calvino. Una città immaginaria, con un nome di donna forse, eppure senza una forma, come ritagliata fuori dal tempo e dallo spazio, collocata in una zona metafisica che tuttavia doveva necessariamente prevedere anche tempo e spazio. Da qualche parte in quel troppo generico Oriente, miscellanea di culture, etnie, usi e costumi, riti e rituali di cui perfino l’eco era vaga, avvolta in una specie di nebulosa dai contorni non meglio definiti, e più per fede che per reale convinzione, doveva esserci anche una città invisibile di nome Sahiwal.
Incerta e astratta, fatta di tutto e di niente – di porti e fiumi e catene montuose e piazze come si deve al migliore degli involucri illusori – è diventata improvvisamente reale il giorno in cui dentro vi ho scovato gli occhi di una bambina. Sbucavano timidi e scuri da dietro una tenda e nell’affacciarsi alla vita mi hanno sempre dato l’impressione di essere più forti della vita stessa. Non ho mai più dimenticato quello sguardo che avevo definito, da qualche parte in qualche appunto scritto di getto, una piccola magia: la magia di un movimento così vitale che pareva trascendere l’immobilità apparente del soggetto.
Un bellissimo scatto realizzato da Sohail, una delle tante sue immagini ricche di pathos che ho imparato a conoscere con il tempo conoscendo altresì una fotografia in cui il viso, luogo per eccellenza dell’espressione dei sentimenti, e il suo equivalente artistico, il ritratto, sono quasi sempre protagonisti. Quel giorno anche io come Marco, il personaggio del racconto di Calvino, sono entrata in una città nuova perché ho visto qualcuno vivere una vita o un istante che potevano essere miei; al posto di quella bambina avrei potuto esserci io se mi fossi fermata nel tempo tanto tempo prima.
E’ nato così, in maniera del tutto spontanea, il mio interesse per questa ricognizione fotografica condotta in Pakistan, nella città di Sahiwal situata nel distretto centro orientale del Punjab, meglio conosciuto come il sito dell’antica Civiltà della Valle dell’Indo (o civiltà di Harappa) risalente al terzo millennio a.c.
Sollecitata da un linguaggio dell’evidenza che sa imporsi senza artifici, in maniera netta e densa, tanto agli occhi quanto al cuore. Un linguaggio limpido, inequivocabile, quasi tangibile, capace di restituire l’immediatezza e la vitalità di una natura umana feconda, fatta di volti e di corpi cristallizzati in tutta la loro autenticità. Colte da un’angolazione realista, queste fotografie sono come finestre che si aprono sulla vita e sul quotidiano: frammenti di istanti che offrono una rappresentazione intima, ravvicinata e cromaticamente esuberante di una civiltà di stampo rurale in cui prevalgono ancora gli aspetti pratici, concreti, dell’esistenza.
Nei mesi spesi a indagare questo lavoro e nelle conversazioni che sono seguite, preparatorie alla realizzazione di questo libro, non mi è stato possibile scindere la vicenda personale da quella professionale, l’uomo dal fotografo: elementi diversi eppure uguali, costitutivi dello stesso racconto. Mi è sempre sembrato un movimento oscillatorio omogeneo il suo, dalla vita alla fotografia e viceversa, tant’è che in più occasioni l’ho definito – credo non a torto – fotografo della vita anziché della scena.
Sohail cresce nel sud di Londra in una tradizionale famiglia pakistana. Il padre era un conducente di autobus, emigrato proprio da Sahiwal agli inizi degli anni Sessanta, e la madre originaria di Jhelum (Pakistan) lavorava in una lavanderia a gettoni. Nel clima di intensa animosità che nel Regno Unito si respirava nei confronti delle minoranze etniche, esasperato anche dall’atteggiamento di alcune potenti figure politiche di destra, non deve sorprendere che il tentativo di trovare un accordo tra due culture apparentemente tanto distanti, quella pakistana e quella inglese, richiedesse uno sforzo di proporzioni considerevoli. Pari a quello che sempre richiede ripensare il conflitto come momento di crescita e non solo come portatore di negatività. In una delle sue generose aperture personali, Sohail mi ha raccontato di aver provato un senso di immenso orgoglio nel vedere, nell’estate del 1982, la squadra nazionale di cricket del Pakistan stracciare letteralmente la squadra dell’Inghilterra in occasione del prestigioso torneo Lord’s Cricket Ground. Ma era come se il sentimento di appartenenza si esaurisse in quei pochi meccanici gesti: sventolare la bandiera pakistana e acclamare la propria squadra, senza in realtà sapere nulla o sapendo poco del proprio mondo ancestrale. Era per lo più una conoscenza indiretta alimentata da una sorta di tradizione orale fatta di racconti dai contorni per certi versi mitologici, resoconti idealizzati di una generazione per la quale il ricordo idilliaco della vita del villaggio si ostinava a non sbiadire, nonostante il passare del tempo. E poi memorie, notizie, testimonianze e immagini piene di certa enfasi come una fotografia di famiglia, quella dei nonni, appoggiata sulla cornice del camino della sala: scattata da qualche parte a Sahiwal, in uno studio fotografico agli inizi degli anni Settanta, carica di toni color seppia, popolata da personaggi che con i loro turbanti parevano senza tempo, il prodotto di una fantasia orientalista senza alcun ancoraggio alla realtà. Uno spazio simbolico che Sohail ha iniziato a ridefinire quando nel 2010 si è recato per la prima volta in Pakistan, proprio a Sahiwal, la città dei suoi antenati. E lì, sopraffatto dai colori vivi, dai contrasti cromatici, dalla luce a volte folgorante, dalla vivacità dei suoi abitanti, dalla magia delle atmosfere e dalle storie insite in ogni angolo di strada, ha inteso tributare, proprio con questa serie di scatti, un omaggio alla bellezza, alla dignità, al grande spirito di umanità e allo straordinario spirito di resilienza della gente di Sahiwal.
Sono certa che in favore di un fotografo che usa la fotografia come una grammatica con cui scrivere e che della fotografia ha fatto il proprio linguaggio narrativo non sia necessario spendere molte altre parole. Meglio di me sapranno dire sicuramente le immagini raccolte in questo libro. Immagini che nascono da un interesse genuino a voler osservare le persone: il modo in cui si muovono, come interagiscono nel contesto della quotidianità, le vibrazioni che emanano. Dal desiderio di fissare adesso e per sempre quell’afflato che, per le più insondabili ragioni dell’animo umano, affiora spontaneo quando ci si trova davanti all’obiettivo della macchina fotografica. E di dare forma solida alla sensazione meravigliosa che scaturisce da ogni incontro nuovo e inatteso: ogni volta un’epifania.
Io solamente, facendo tesoro della lezione dei “curatores” che nella Roma antica erano i custodi della strada preposti a garantire la continuità dei collegamenti tra Roma e le province, ho cercato di prendermi cura di questa via che in realtà era già di per sé stessa tracciata con evidenza. Un percorso sempre in perfetto equilibrio stabile tra valore estetico e impegno etico che ha la straordinaria peculiarità di collegare una vicenda singolare a una vicenda plurale: la storia di chi si mette in moto alla ricerca di sé stesso, delle proprie origini e della propria identità, alla storia di tutti noi che in questi tempi di fragilità e di incertezza endemica sembriamo incapaci di trovare nell’Altro, quello che suo malgrado vive schiacciato ai margini del mondo noto, lì dove si è più prossimi all’orlo delle cose che alle cose stesse, spunti per una rilettura del presente anziché pretesti per ergere confini. Pratica tornata prepotentemente in voga nel mondo in via di globalizzazione a cui fa da contrappunto la cadenza poetica di queste immagini, un afferrabile gioco di versi liberi, in cui il racconto di un uomo diventa il racconto dell’Uomo.
Sohail Karmani “The Spirit of Sahiwla” ed. Skira Editore, Milano 2019
Presenterò il libro insieme all’autore mercoledì 18 dicembre 2019 alle ore 19.00 presso Spazio Kryptos Milano.
Interverrà lo storico, critico e docente di fotografia Roberto Mutti.