E’ un lungo piano sequenza dalla consistenza cinematografica quello in cui scorre la vicenda dell’ Ulisse contemporaneo messo in scena da Corrado d’Elia. Un segmento narrativo teso a riprodurre la complessità di un viaggio metaforico, il viaggio dell’uomo verso la conoscenza, accorciando le distanze tra reale e surreale, tra verità e rappresentazione e rendendo omaggio al teatro, alla sua forza vitale e dirompente. Nel mezzo di un’ atmosfera suggestiva, in una scenografia fatta di piccole luci capaci di creare spazi mutevoli di colore e di esistenza, fatta di tavoli e sedie alla maniera di una volta in cui ti aspetteresti di veder comparire, avvolti nei loro cappotti di lana pesante, Bruno Ganz o Marcello Mastroianni, si muove un Ulisse frastornato, immerso nella fatica del ricordare. Uno spazio in cui le vicende di un ipotetico esterno si mischiano senza soluzione di continuità con quelle di un onirico interno, in un luogo che è al contempo nave, la nave dei folli, teatro e sala da ballo. Dedicato al grande regista cinematografico Theo Angelopoulos lo spettacolo ne riprende le tematiche, i suggerimenti emotivi, rievocando l’idea dei Balcani, l’esilio, la separazione, il viaggio, il dissolversi delle utopie. E il moto esausto dell’uomo attraverso l’acqua, i fiumi, i confini. “Lo spettacolo ha debuttato qui al Teatro Libero di Milano due anni fa. Ricordo il tempo in cui l’ho concepito come un tempo di grande impegno e fatica, a tratti stremante, uno sforzo titanico e viscerale. Dopo la prima messa in scena con Sara Bertelà ho sentito il bisogno di fermarlo, di farlo decantare. Mi sono rimesso in viaggio poi, con altri compagni, Alessandro Castellucci e Giulia Bacchetta. L’abbiamo modificato e in parte riscritto e di nuovo rappresentato.” La narrazione si compone di un’architettura a più strati in cui la storia di un Ulisse contemporaneo si intreccia con quella di un attore che torna a casa mentre scrive uno spettacolo che si sta rappresentando proprio in quello stesso momento. E i fatti di tre naufraghi della vita si intrecciano in maniera indissolubile con il tema del ricordo, con l’ossessione del ricordare tanto cara a entrambi i registi. Come nel film di Angelopoulos Lo sguardo di Ulisse il fotografo voleva ritornare a vedere le prime immagini, le prime foto scattate nella sua Grecia, così anche questo moderno Ulisse non perde occasione per cercare i ricordi, per interrogarsi sugli spazi di oblio che nel viaggiare hanno fagocitato persone e sentimenti senza distinzione alcuna. Non un viaggio geografico ma un viaggio che muove dalle parole, perché in origine era il verbo. Un viaggio che è un ritornare a sé stessi, a quello che più ci appartiene, all’essenza di noi. Un viaggio che è racconto poetico e malinconico dell’uomo e dell’oggi. Un viaggio nel labirinto immaginario che scorre tra i due livelli di lettura cui si presta l’Odissea, quello esoterico, il nostro bisogno di crescere nell’idea di Dio o nell’idea di sapienza, e quello essoterico fatto di materialità che tutto inghiotte. Le persone con un occhio solo, quelle senza profondità, in fondo le incontriamo tutti i giorni. Sta a noi decidere se sostare in superficie o andare a fondo per trovare le corrispondenze. Un viaggio che non ha fine perché la fine è l’inizio ripete spesso questo Ulisse. A significare che la ricerca della perfezione è nell’imperfezione stessa, a dire che le cose si rompono per poi ritornare sotto altra forma. La storia stessa dell’uomo è come un cerchio che si chiude per riaprirsi ancora. “Alla fine probabilmente chiudere il cerchio toccava a me, era compito mio, ero io che non dovevo fare niente altro se non dire i miei ricordi. In questo spettacolo sono io che racconto di mia madre, di quando era sfollata, di quando poi è morta, l’incontro nell’Ade come fosse uno spazio temporale capace di mettere in relazione i vivi con i morti. Il mio è un racconto che parte da materiali propri e intimi, da cose vere, fatti realmente accaduti. In cui c’è sempre in qualche modo la translitterazione delle persone. C’è Ulisse ma Ulisse è anche Telemaco. C’è un’unica donna, che rappresenta tutto. Lo spettacolo è come sono io. Dove uno è tutto. Sempre.” I giorni migliori sono quelli di nebbia, perché la nebbia non ci consente di vedere sosteneva Angelopoulos. Mi piace pensare a Corrado in quello spazio di nebbia intento a coltivare l’invisibile, il privato, il sogno, affinché possa un giorno nutrire il visibile. E farsi atto pubblico, atto teatrale. Pieno di verità e suggestione al pari di questa rappresentazione.
Desidero ringraziare per la cortese intervista Corrado d’Elia al Teatro Libero di Milano con “Ulisse, il ritorno” fino al 18 maggio 2015 – www.teatrolibero.it
Progetto e regia di Corrado d’Elia – con Corrado d’Elia, Alessandro Castellucci, Giulia Bacchetta – assistente alla regia Andrea Finizio – scenografia Fabrizio Palla – luci Alessandro Tinelli – fonica Giulio Fassina – costumi Stefania di Martino – foto di scena Angelo Redaelli.
Foto di Nils Rossi