Si intitola “Voglio vivere senza vedermi” il nuovo film di Bruno Bigoni e Francesca Lolli al quale ho preso parte anche io e del quale parlo con gli autori in questa intervista. Un progetto sul tema del potere che muove da una serie di interrogativi: come rappresentarne l’essenza? In che modo declinarne l’iconografia e le manifestazioni? A partire da un doppio percorso tra immagine e fisicità, i registi affrontano il tema con uno sguardo sfaccettato e un pensiero aperto per coglierne la violenza, la provocazione ma anche la fragilità.
Francesca Interlenghi: Come è nata l’idea di questo film e, data la sua lunga gestazione, come si è trasformato il progetto dagli inizi fino alla sua resa finale?
Francesca Lolli: L’idea di questo film è maturata nel tempo. Collaborando con Bruno ad altri progetti è nata l’esigenza di raccontare il potere nelle sue diverse sfaccettature, cercando di alimentare e far crescere i nostri diversi modi di guardare e di filmare ciò che ci circonda.
Bruno Bigoni: Nel 2016 Francesca aveva realizzato alcuni video per il mio spettacolo “Storie di invertebrati”, prodotto da Pacta dei Teatri. Da quell’incontro si è generata una sorta di progettualità in divenire. Abbiamo iniziato a confrontarci, a dialogare, abbiamo provato a filmare spunti e tracce narrative. Un modo di lavorare che ci ha trovati affiatati e dialettici. La svolta decisiva è arrivata nel 2018 quando in occasione delle celebrazioni del ’68, abbiamo iniziato a ragionare sul tema del potere. E’ cominciata così una scrittura fatta non solo di parole ma soprattutto di immagini, che con il passare del tempo sono diventate lo scheletro di questo film. Dall’estate dello scorso anno il progetto ha acquistato carattere di urgenza e la struttura sia artistica che produttiva ha iniziato a farsi più chiara e definita. Così mese dopo mese il film ha preso forma più precisa. Sono state realizzate le tre parti che compongono il corpo del film e si sono chiarite anche le intenzioni produttive e artistiche.
Francesca: Come sono confluite nel film le vostre due differenti visioni del cinema? Come avete armonizzato l’approccio che nasce dalla video arte (Francesca Lolli) con quello di stampo principalmente documentarista (Bruno Bigoni)?
Lolli: E’ stato naturale e semplice in realtà. Quando ti trovi in sintonia con qualcuno l’armonizzazione viene da sé. Mettersi nella predisposizione dell’ascolto, portare avanti il proprio sguardo restando sempre aperti allo sguardo dell’altro: solo così possono nascere collaborazioni proficue e linfatiche.
Bigoni: Il nostro immaginario cinematografico (diciamo la costruzione delle immagini) si è prima scontrato, poi confrontato, poi avvicinato per un comune interesse a una riflessione sul linguaggio all’interno di quello che è oggi il cinema italiano. Sia Lolli che io, cerchiamo da tempo (anche se in modo diverso) un’ immagine che sia soprattutto “adeguata” ai tempi che viviamo. Trovare un senso che travalichi il semplice contenuto per approdare a qualcosa che ancora forse non comprendiamo bene, ma che sentiamo necessario. La difficoltà stava nel mettere insieme due sguardi così diversi ma per molti versi affini. Abbiamo trovato un punto di incontro nel tentativo di far dialogare la video arte, con il cinema documentaristico e di finzione. Nel caos delle forme che oggi la fanno da padrone, il nostro film fa suo il paradigma Godardiano, per cui bisogna confrontare idee confuse, con delle immagini precise.
Francesca: Le questioni che il film intende esplorare sono molteplici: il tema del potere affrontato da diverse prospettive, le dinamiche dei rapporti interpersonali, la dolorosa questione dell’incomunicabilità. E ancora il corpo e la vita e la morte… Quale il filo conduttore dal punto di vista concettuale?
Lolli: Forse banale a dirsi ma la vita, la nostra vita in questo particolare periodo storico. Come diceva Antonin Artaud – presenza importante e significativa nel nostro film – il corpo è ricettivo ai mali dell’epoca. A noi è stata data questa e questa cerchiamo di raccontare, sublimandola sì, ma senza poesia. Soprattutto perché di poesia, in giro, ne vedo ben poca.
Bigoni: Abbiamo narrato, avendo come spirito guida Artaud, l’uomo e il suo essere mal costruito e malato, il potere e il suo spirito violento e provocatorio, ma anche il suo lato più fragile e indifeso, cercando uno sguardo contemporaneo e libero. Un doppio sguardo, maschile e femminile, che filtrasse l’inenarrabile, provando a restituire attraverso la narrazione il nostro presente dominato dai conflitti e dalla violenza.
Francesca: Una precisa scelta registica fa si che questo film – che si compone di tre parti distinte – non abbia uno sviluppo narrativo lineare. Il reale si mescola all’onirico, i piani spaziali e temporali sono sfalsati, citazioni e utilizzo di materiali “altri” offrono continuamente sollecitazioni e stimoli diversi. Esiste una chiave di lettura univoca dell’opera? O era chiara intenzione lasciare scenari aperti all’interpretazione?
Lolli: Parlando di me, nel mio lavoro cerco sempre di lasciare libertà interpretativa a chi guarda. Anch’io, da spettatrice, non amo le interpretazioni aprioristiche e, soprattutto, non amo gli “spiegotti” verbali che gli attori sono costretti a recitare perché altrimenti il film non si capisce. Se solo ci ponessimo di fronte alle opere con cuore aperto la ricezione verrebbe da sé. E non tutto è spiegabile a parole, siamo troppo abituati a dare una lettura razionale delle cose. Lasciamoci andare e sentiamo ogni tanto!
Bigoni: Più che una chiave di lettura univoca direi che esiste un filo conduttore che lega le tre parti del film. Uno sguardo personale sul potere, sulle sue forme, sui suoi nascondigli. Interrogarsi sul potere, per arrivare a narrare la morte (che di potere ne sa qualcosa…) e il suo sterminato desiderio di vita, che, una volta aggiunta la forma umana, si scontra con una realtà molto più forte e violenta di quella da lei immaginata. Il potere vacilla davanti all’amore e alla violenza. Ogni film degno di chiamarsi tale lascia scenari aperti all’interpretazione.
Francesca: Sebbene la parola “sperimentale” non mi piaccia ritengo che questo film un po’ lo sia, nel senso che sicuramente ha l’ardire di sperimentare strade nuove e un linguaggio non convenzionale. Esperimento riuscito?
Lolli: Di sicuro, una delle cose che interessava ad entrambi era quella di non seguire per forza una grammatica cinematografica classica. Ogni film ha la sua struttura, se si lasciano parlare le immagini la struttura (che sia convenzionale o meno) viene fuori da sé.
Bigoni: Quando penso a un’immagine, a più immagini, quando provo a raccontare una storia attraverso le immagini, qualunque sia la forma che scelgo, ho sempre l’impressione di sperimentare qualcosa. Forse questo è dovuto soprattutto alla mia esperienza come documentarista, dove la libertà espressiva e la ricerca sono sempre condizione sine qua non per realizzare qualcosa di buono. In questo film non trovo niente di “sperimentale” anche se molte delle sue immagini sono ardite. Mi ritrovo più a mio agio in parole come “ricerca” o scoperta”. Forse questo è dovuto al fatto che ho lavorato in coppia con Francesca che è stata molto abile a portarmi in luoghi e mondi a me sconosciuti. In fondo era quello che cercavo da tempo.
Il film sarà proiettato al 37^ Torino Film Festival (sezione Onde, Torino) il 23 novembre 2019 e a Filmmaker (fuori concorso, Milano) il 24 novembre 2019
Un film di Bruno Bigoni, Francesca Lolli
Con Corinna Agustoni, Francesca Interlenghi, Francesca Lolli, Riccardo Magherini, Ida Marinelli, Alice Spito
E con Stefano Baffetti, Fernando Billi Villares, Afshin Varjavandi.
Fotografia Italo Petriccione, Francesca Lolli, Lucio Pontoni
Prodotto da PACTA dei Teatri, Minnie Ferrara, Mario Castagna
Francesca Lolli (Perugia, 1976) regista, video artista, performer.si diploma alla scuola di Teatro Arsenale’ come attrice e si laurea in scenografia all’ Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.Per la tesi realizza un documentario su Andres Serrano e dal quel momento si dedica interamente alla video arte, alla performance e alla regia. La sua ricerca si concentra sulle diversità di genere e le questioni socio-politiche.Tra i suoi ultimi lavori Nostra Signora del Silenzio (2018); Dentro la casa (2018); Dolorosa Mater (2017); Orgia o Piccole Agonie Quotidiane (2016); Just Want To Be a WoMAn (2014).
Bruno Bigoni (Milano, 1950) esordisce nel 1983 con Live (in coregia con Kiko Stella). Nome di battaglia: Bruno (1987) è il suo primo documentario che vince nello stesso anno il Festival del Nouveau Cinema di Montreal, il Salso Film Festival, il Premio Filmmaker. Nel 1990 fonda insieme a Minnie Ferrara e Kiko Stella la Minnie Ferrara & Associati, società di produzione e distribuzione con cui realizza tutti i suoi lavori seguenti. Tra i suoi più recenti documentari ricordiamo Chiamami Mara (2005); Don Chisciotte e… (2006); Il Colore del vento (2012); Sull’Anarchia (2015); Chi mi ha incontrato, non mi ha visto (2016); My war is not over (2017).