La vera sofferenza è connessa alla vera bellezza.
Yun Hyong-keun, 1988
C’è un timbro silenzioso, eppure penetrante, una qualità di articolazione mistica che rende le opere di questa retrospettiva immuni e avulse dal tempo circostante. Sottile grazia e lampo lirico, la capacità di far respirare il vuoto con il gesto tracciato da un largo pennello: spesse strisce di colore nero su tele grezze di cotone o lino.
A Venezia, Palazzo Fortuny ospita la prima mostra internazionale dedicata all’artista coreano Yun Hyong-keun (1928-2007) a dodici anni dalla sua scomparsa. Curata da Kim Inhye, l’esposizione nasce dalla collaborazione tra il National Museum of Modern and Contemporary Art of Seoul (MMCA) e la Fondazione Musei Civici di Venezia, con il sostegno della Korea Foundation.
Il percorso espositivo, che si snoda negli spazi di quella che fu la dimora, il laboratorio e l’atelier di Mariano Fortuny y Madrazo, raccoglie cinquantacinque capolavori dell’artista coreano oltre a una fedele riproduzione del suo studio dove visse e lavorò per circa un ventennio – con opere realmente presenti a firma di altri artisti (Kim Whanki, Jeon Roe-jin e Choi Jongtae) – e numerose testimonianze personali, tra cui disegni giovanili, una vasta raccolta fotografica e pagine di disarmante onestà tratte dai suoi diari privati.
Nato nel 1928 a Cheongju, nella provincia del Nord Chungcheong, Yun Hyong-keun riuscì a dedicarsi in maniera totale all’arte soltanto nella seconda parte della sua vita dopo essere sopravvissuto a una serie di vicende traumatiche e dopo aver attraversato uno dei periodi più travagliati della storia coreana – il dominio giapponese, la Guerra di Corea e la dittatura post-bellica – che lo segnarono tanto dal punto di vista personale quanto da quello artistico determinando in maniera esplicita la cifra della sua produzione.
Ho passato la mia gioventù – i miei vent’anni – come in un incubo, anche se quelli sarebbero gli anni più belli da vivere, a prescindere da chi tu sia. Forse per questo i colori delicati e caldi sparirono velocemente dai miei lavori, per essere sostituiti da colori scuri e pesanti.
Yun Hyong-keun, 1986
Incarcerato per ben quattro volte, per il semplice fatto di aver manifestato il proprio pensiero, e scampato miracolosamente alla fucilazione, il suo lavoro si compone per la maggior parte di tele dai colori intensi, a tratti cupi e drammatici, come quelle dipinte in seguito al massacro di Gwangju (maggio 1980) che registrano il clima aspro dell’epoca e lo inquadrano dentro il movimento artistico coreano Dansaekhwa a cui apparteneva un gruppo di artisti interessati a esplorare le proprietà fisiche della pittura, mettendone in risalto tecniche e processi. La carenza di materiali provocata dalla Guerra di Corea (1950-1953) e il relativo isolamento della nazione rispetto alle correnti internazionali costrinse loro a creare regole e strutture proprie in riferimento all’astrazione.
Ma in realtà quello di Yun Hyong-keun è un lavoro dalla portata più ampia che trascende la mera indagine progettuale dell’opera e scandaglia i grandi temi esistenziali dell’Uomo. Narrandoli con la grazia e la raffinata semplicità che caratterizzano l’estetica coreana, il suo minimalismo disadorno e austero, mescolando il sentire individuale – frutto della partecipazione ai dolorosi avvenimenti del tempo – con il sentire collettivo e facendone linguaggio universale, linguaggio del cuore capace di imporsi a tutto il mondo.
Non si fa arte con la forza, come i pugili, o con l’intraprendenza, come i politici. L’arte è fatta solamente col cuore di una persona. Yun Hyong-keun, 1986
A Venezia, nella città che vive come sospesa, si apre quella che lo stesso artista definisce “la porta del cielo e della terra”. Un varco rappresentato dalle sue tele, superfici grezze sulle quali il pennello applica densi blocchi di pittura color blu, a simboleggiare il cielo, e marrone o nero, a simboleggiare la terra. Tra cielo e terra le sue opere sembrano come sospese, immobili e sospese, in una sorta di infinitezza. In un tempo di solitudine. Sospesa anch’essa. Quasi a dire: finalmente sono tutto.
L’arte non nasce da quelli che prendono le scorciatoie. E’ solo attraverso un lungo e faticoso cammino che l’arte fiorisce. La verità si realizza e si esprime soltanto mediante la sofferenza. Yun Hyong-keun, 1986
Yun Hyong-keun, Una retrospettiva
Venezia, Palazzo Fortuny
Fino al 24 novembre 2019