Ci sono paesaggi e città. Luoghi deserti e tratti costieri. Finestre da cui entra uno spiraglio di luce, ultimo residuo solido di un sogno. E palme e cieli azzurri e foglie. E tutto reclama a gran voce la sua storia.
E’ il 1985 quando Yuri Catania, poco più che bambino, inizia a fare i primi esperimenti con la fotografia “semplicemente perché mi avevano regalato una Canon Snapshot, una di quelle colorate che andavano di moda ai tempi.” Seguono il Liceo Artistico, gli studi di Disegno Industriale al Politecnico di Milano, un percorso nel campo della moda tra comunicazione e ricerca, sempre alla scoperta di percorsi alternativi. Poi un viaggio in Africa insieme alla moglie Silvia Torricelli, 8000 km percorsi con una Polo1400 da Capo di Buona Speranza in Angola e ritorno. “E quando lei vedeva il mio modo di fotografare mi spingeva a fare questa cosa, a fare quella che adesso è diventata una professione per me. Nata in modo spontaneo, con una formazione da autodidatta e senza mai fare l’assistente. Un grande vantaggio dal mio punto di vista.”
Fotografo, Art Director e Videographer, Yuri Catania lavora da oltre 10 anni con successo nell’ambito della moda affiancando a questo anche un altro progetto differente, massima espressione della sua identità e della sua creatività.
NO FASHION PLACES per me è vita. Potrei definirlo lo storytelling di me, il testamento per immagini del mio vissuto.
“Rappresenta la mia istintività fotografica e proprio per questo motivo è stato così istintivo attribuirgli questo titolo. Per dire che è il mio lavoro personale che io porto in mostra, non la fotografia di moda che pur mi piace e credo di fare bene. Porto in mostra me stesso, provo a creare connessioni e corrispondenze, non mi accontento di un esercizio estetico frutto di una idea commerciale o della scelta di un brand.”
Scorrono davanti agli occhi, raccolte nel libro “No fashion places of America”, le immagini scattate negli ultimi 10 anni che documentano i viaggi in America tra la East e la West Coast. Quando la schiuma bianca delle onde di Santa Barbara si confonde con la luce arancione di un tramonto di Los Angeles, scalfito solo dalle figure a mezz’aria degli skaters. Quando il fumo bianco e nero che sale avvolgente dalle strade di New York evapora dentro il giallo pallido di una Gangster Car a Miami. Quando un uomo nudo compare a una finestra, quando sulle macerie di un casinò demolito compare la scritta Game Over, quando sul sedile posteriore di un’auto compare un orso di pezza abbandonato. Perdersi, guardando fuori. Guardando il mondo, e poi tornare. Dentro alle cose.
“L’America? Come avere costantemente un biglietto per Gardaland. Per me è un playground, un grande immenso luna park. Ecco, in un luna park non ci vorresti vivere, però andarci ogni tanto è proprio bello. Ha molto da offrire ma anche molto su cui interrogarsi.”
Un romanticismo malinconico che indugia su innumerevoli oggetti, dettagli pieni di dignità e amore che una poetica scarna e essenziale porta alla vita, sia essa quella di un volto o di un gesto, di una atmosfera o di un paesaggio.
Questo progetto è per me dare valore e rispetto a quello che noi fondamentalmente buttiamo via e che di fatto è umano. Anzi, più trovo cose piccole e abbandonate per strada e più mi emoziono per l’umanità che sono capaci di emanare. Una sorta di feticismo al contrario, non so spiegarlo.
All’edizione appena conclusasi di Mia Photo Fair Yuri ha esposto nella sezione Proposta Mia una evoluzione di questo suo progetto intitolata American Flag. Una installazione a forma di bandiera americana, realizzata con assi di legno, che teneva dentro, quasi fosse un pallottoliere, tante foto in piccolo formato: scorrevoli, mobili, intercambiabili. L’impressione di un universo in continuo movimento, al pari della vita, al pari degli istanti della sua di vita che una volta congelati nell’immagine diventano in qualche modo vita di tutti, tasselli di cui appropriarsi, incipit di una narrazione personale.
“Qui continuo a essere me stesso senza aspettative. Qui mi vengono le cose addosso e voglio che sia così, come fosse uno sfogo, qualcosa di istintivo. La progettualità c’è ed è nella scelta di scattare o non scattare, di lasciar andare o portare avanti quello che per un attimo rimane impresso davanti agli occhi. Però è così bello che le cose avvengano!”
Avviene una composizione armonica di luce, di oggetti, di storia. Avviene che la macchina strappi il tempo al fluire del tempo, che sottragga la vita allo scorrere della vita stessa, che trattenga qualcosa di cui si sta già in qualche modo godendo. Come quando si cerca di trattenere la persona amata perché è in quella manciata di istanti, sprofondati in quella immobilità silenziosa, che avviene la fotografia.
La fotografia è anche questo, è vivere il mio tempo e fermarlo in una serie di immagini, facendone testimonianza per quelli che verranno.
“Ed è talmente grande la passione che provo che mi chiedo sempre: ma quando morirò potrò continuare a fotografare? Perché è questa la mia preoccupazione: immaginare una eternità bellissima, nella quale io fortemente credo, e aver paura di non poter più fotografare, paura di non poter più provare quell’emozione grande quando si chiude il mio occhio. Quando avviene il mio scatto.”
Desidero ringraziare per la cortese intervista Yuri Catania – web site – Facebook – Instagram
Le foto dell’intervista sono di Fabio Bottini
Serie Human Light Message: Yuri Catania, Riviera GameOver, Las Vegas 9:00am August 16th 2016 ©Yuri Catania